L’amaro caffè servito da Report

Michele Amoruso

So già che questo editoriale farà discutere, ma dopo i recenti servizi andati in onda su Report, programma simbolo del giornalismo d’inchiesta in tv, ho deciso di spendere due parole sulla preparazione del caffè nei bar italiani e sulla conoscenza di questo prodotto da parte dei consumatori. Una cosa è certa: al di là delle polemiche che queste inchieste hanno scatenato, gli elementi sui quali riflettere non mancano.

Ma andiamo con ordine. Iniziamo dalla conoscenza da parte del consumatore medio del caffè, della provenienza, di come viene lavorato e di come viene ricavata la bevanda. L’amara realtà – e qui è proprio il caso di dirlo – è che solo una minima parte dei consumatori conosce questi temi e la comunicazione fatta dai produttori spesso non è di grande aiuto in tal senso, perché in parecchi spot televisivi ci si limita a veicolare il concetto che “bere il caffè XXX è cool”.

Non è tutto. I servizi andati in onda hanno mostrato l’ignoranza dilagante degli addetti ai lavori su questioni fondamentali come la differenza tra Arabica e Robusta, la composizione delle miscele o le regole per fare un buon caffè: dall’estrazione alla tostatura. Viene spontaneo chiedersi come si possa servire un prodotto di qualità se non si conoscono nemmeno le basi: io mi astengo dal dare una risposta, ma lascio ai lettori di Vending Magazine lo spazio e il luogo per farlo.

Continuiamo la nostra riflessione passando a un terzo aspetto chiave: le lacune legislative. In Italia, le disposizioni in tema di etichettatura del caffè sono piuttosto scarne. Se nell’etichetta non è necessario specificare nulla sulla composizione del caffè tostato, viene lasciato all’iniziativa dei singoli torrefattori – dei più virtuosi, diciamo – dettagliare le percentuali delle varietà (Arabica e Robusta) e, per quanto concerne i prodotti monorigine, anche la nazione di provenienza. Si tratta di lodevoli eccezioni, perché nella maggior parte dei casi non si ha alcuna informazione sul contenuto, né in termini di varietà, né di origine, né di qualità.

Tutto ciò spinge a una riflessione ancora più profonda e cioè che c’è da considerare che ne va della nostra salute e che nell’alimentare, proprio per tutelare il consumatore, generalmente è necessario specificare almeno l’origine della materia prima.

Se a questo aggiungiamo che sarebbero utili anche indicazioni sulla conservazione del prodotto una volta aperta la confezione, per preservarne la freschezza, l’aroma e i sentori, allora potete comprendere quanto lavoro ci sia ancora da fare. Un lavoro non solo di immagine ma di informazione, che passa attraverso qualità e trasparenza. Perché quel che emerge di questo settore è poco edificante e nuoce a tutti.

Il mondo del caffè – vale anche per noi che operiamo nel Vending – appare una realtà fumosa, di furbizia e approssimazione. Sappiamo tutti che in realtà non sempre è così, che ci sono tante torrefazioni che operano con trasparenza e integrità, ma è chiaro che il vuoto legislativo dev’essere colmato per evitare che la mala gestione di pochi danneggi il lavoro virtuoso di molti.

Ad maiora semper (speriamo).

 

Michele Amoruso

Amministratore Delegato Orasesta Spa

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