
Un’intelligente intuizione. Un lavoro appassionato lungo 30 anni, anzi 31… Con 12 mesi di ritardo, causa contrattempi da pandemia, vogliamo festeggiare il compleanno di DI.A Vending S.r.l., l’impresa di gestione pugliese di Cassano delle Murge icona della Distribuzione Automatica fatta bene, con testa e con cuore e robusti valori etici. Una storia ricca di soddisfazioni e di umanità. Un legame in simbiosi tra la proprietà – i due soci fondatori, Giuseppe Policoro e Simone Raffaele – e i dipendenti che hanno trovato in DI.A una seconda famiglia, con i figli dei primi assunti che oggi entrano in azienda, mentre Nicola, il figlio del signor Policoro, e Maurizio Carlucci, genero del signor Raffaele, rappresentano già la seconda generazione alla guida della gestione.
È Giuseppe Policoro a raccontarci in che modo una piccola ditta nata, come tante, all’ombra della Zanussi negli anni 70’, sia diventata un’impresa da circa 1 milione e mezzo di battute/mese.
DI.A Vending trae spunto da una frase dell’inventore americano Thomas Alva Edison: “1% inspiration and 99% perspiration”. Da dove nasce questa intuizione?
Leggendo la storia di Edison ci siamo resi conto di essere in linea con quello che è il suo concetto di lavoro creativo. Ma è stato soprattutto il carattere dei soci fondatori – il sottoscritto e il signor Simone Raffale – che ha avuto un potere illuminante nel percorso della DI.A.
Non abbiamo mai accettato l’idea bizzarra che un distributore destinato ad accompagnare le persone nel lavoro e nello svago potesse essere sminuito a banale funzione di “macchinetta”.
Abbiamo ricercato la migliore soluzione per umanizzarlo e renderlo vicino alla gente, come fosse una persona premurosa nei riguardi del prossimo, anticipandone i bisogni e stimolandone i desideri. Questa visione, insieme al duro lavoro, fa sì che sempre più gente, oltre a riconoscere i nostri meriti di servizio e qualità, avvicinandosi al distributore ha la sensazione di parlare con la DI.A stessa.
Quali sono stati i suoi primi passi nel Vending?
Sono nel settore dalla metà degli anni ‘70. Mi ci sono trovato per caso, allorquando, appena diplomato, ambivo a un’attività che non fosse la classica da dipendente. Accettai quindi la proposta di un agente della Zanussi che cercava qualcuno a cui affidare un’operazione di franchising nel Vending. Sebbene all’epoca non sapessi neanche che esistessero i distributori automatici e, pur essendo un perito metalmeccanico, non masticassi la loro tecnologia, fui l’unico in Italia a onorare l’impegno assunto, anche se, per lo più, grazie all’allora fidanzata (da 41 anni mia moglie) che lavorava come terapista della riabilitazione e mi aiutò a onorare le scadenze. A dirla tutta, fu un periodo buio e disastroso…
Perché?
Distributori fermi per guasti; tante porte in faccia quando proponevo il servizio. Non vedevo l’ora che terminassero i 3 anni per i quali mi ero impegnato, per buttare tutto all’aria.
Però, una volta svincolato da quel contratto, avendo acquisito maggiore padronanza del settore mi accollai un’altra montagna di debiti ma questa volta per comprare i distributori, che fino ad allora avevo avuto in affitto, e cominciare a gestirmi in autonomia.
Quando avvenne l’incontro con Simone Raffaele?
Mi resi conto che, come ditta individuale, non avrei avuto futuro. Nei primi anni ‘80 costituii, quindi, una s.n.c. con un tecnico fino ad allora al servizio della stessa agenzia Zanussi “responsabile” del mio esordio.
Nel giro di poco tempo, la ditta contava già personale assunto. Nel frattempo Raffaele, terminata la sua esperienza di tecnico responsabile del Centro-Sud per l’intera gamma di produzione Zanussi – la cui formazione lo vide a fianco del compianto Cesare Cerea – aveva creato, nel 1973, una società di gestione a Potenza. Il terremoto del 1980 gli distrusse tutto. Tornò, quindi, nella sua città natia, in provincia di Bari. Fu l’occasione giusta per invitarlo a bordo. Nel 1982 cominciò così la nostra avventura che ci vede ancora uniti come imprenditori ma, prima di tutto, come amici. Nel 1990 uscimmo dalla s.n.c. costituendo la DIA di La Fortezza&C S.a.s. che, negli anni si è evoluta in DI.A S.r.l.
Nel 2019 DI.A aveva fatto registrare un aumento di fatturato importante, toccando 5,3 milioni di ricavi. È stata solo una crescita commerciale o anche tramite acquisizioni?
Non abbiamo mai fatto acquisizioni ma solo “conquiste” a merito del nostro comparto commerciale e al disservizio della concorrenza. Possiamo dire di essere in ottimo stato di salute grazie al sacrificio di una vita in movimento, proiettata a stimolare gli eventi anziché attenderli “sul divano”, e a una “dieta equilibrata” che prevede una sana e snella organizzazione della struttura per mantenere la DI.A solida.
Immagino, però, che vi sia stata una perdita di fatturato nel 2020…
Se fossimo stati fermi, confidando solo sulla clientela servita nel 2019, avremmo avuto una perdita del 70%. Grazie alla vita in movimento di cui le dicevo, abbiamo chiuso il 2020 con un calo di fatturato del 30% ma con situazioni che, terminata la pandemia, siamo sicuri faranno impennare la nostra scalata nelle classifiche delle “Top 100”.
Nel 2021 contiamo di superare quota 6 milioni di fatturato.
Ci stiamo preparando per non farci cogliere disorganizzati di fronte alla crescita prevista. Il successo di DI.A è dovuto in buona parte a quella che è la nostra proverbiale visione ottimistica del futuro. Chi non riesce a vincere la (sana) paura non può fare l’imprenditore, specie nel Vending, settore esposto a ogni genere di insidie.
Qual è l’area geografica in cui opera DI.A?
In Puglia ci spingiamo a sud fino a sfiorare Taranto per salire poi sulle province di Bari e BAT e arrivare nella zona di Foggia.
In Basilicata serviamo un ampio territorio della provincia di Matera e qualcosa in quella di Potenza. In tutto contiamo circa 3.000 macchine installate.
DI.A Vending, l’azienda di famiglia. Cosa significa?
DI.A poggia non solo su un solido progetto imprenditoriale ma sui valori etici che noi soci abbiamo imparato nelle nostre famiglie: l’educazione, l’onestà, l’onore, il rispetto delle cose e delle persone. Sono valori che si attaccano all’esistenza come una pergamena su cui scrivi le tue giornate, i pensieri, le idee, le esperienze, ecc.
Già dopo i primi 18 mesi di s.n.c., passati in due a governare le fasi di gestione, avevamo avuto bisogno di collaboratori la cui formazione è poi avvenuta sul campo. A volte uscivano con me nel ruolo di caricatore per imparare a organizzare le fasi di carico, a volte con il Sig. Raffaele per apprendere un minimo di nozioni tecniche. Perché, nella nostra visione, un buon servizio prevede che il caricatore sia dotato di una competenza di base tale da non lasciare un distributore fermo (magari per una sciocchezza) in attesa che arrivi l’addetto. Inoltre la formazione, ancora adesso, è indirizzata secondo le attitudini di ogni collaboratore in previsione di una futura collocazione specializzata. Non a caso tutti i nostri tecnici hanno un pregresso di caricatore.
Ma non è solo la professionalità che rende la DI.A una famiglia…
Ci può spiegare meglio?
Siamo orgogliosi di aver insegnato ai nostri dipendenti l’importanza della fidelizzazione del cliente, sulla scorta di quella “pergamena” di cui parlavo prima. Questa è l’unica discriminante che ancora oggi valutiamo nell’assumere le risorse umane. Il mestiere lo impareranno poi sul campo. Tant’è che da noi cominciano a lavorare i figli dei nostri primi collaboratori. Tutto questo processo è un “seme” che genera un naturale spirito di appartenenza che poi si riverbera nel rapporto con i clienti.
Adesso, fra dipendenti e collaboratori, abbiamo più di 50 persone impiegate in azienda. Andare d’accordo è la cosa più difficile; su questo si concentra la nostra vigilanza. Devo dire, però, che raramente interveniamo. I dissapori e le incomprensioni fra colleghi sono fisiologici, ma alla fine prevale sempre lo spirito di squadra e la prospettiva di avere una vita serena lavorando in DI.A.
La pandemia ha rafforzato il concetto di famiglia?
Non ha fatto altro che convalidare quanto fin qui detto.
Ci siamo sacrificati nel non licenziare nessuno così come, senza battere ciglio, il personale si è sacrificato nel continuare a gestire gli ospedali e le RSA, nonostante fossero luoghi molto pericolosi, stando vicino a chi è stato ed è ancora in prima linea contro il virus. Tutto questo anche se i volumi hanno reso l’azione antieconomica. Sono i nostri valori estesi al sociale. DI.A è un’azienda nata nel territorio per essere vicina ai bisogni del territorio.
Siete stati tra le prime gestioni a utilizzare le app per i distributori. Ci racconta APP Speak?
A mia insaputa, la nascita di Speak risale a un ventennio fa… nel senso che dovetti subito censurarla, smorzando l’entusiasmo di mio figlio Nicola che l’aveva creata da neolaureato in informatica. In effetti si proponeva, attraverso la lettura di un QR CODE, di informare i fruitori del distributore (nello specifico gli universitari), di quante tasse occulte erano nascoste dietro a una loro consumazione in ragione dei ristorni che l’Università richiede ai gestori. Non proprio il massimo commercialmente…
Di qui l’idea di convertire il progetto in acquisizione delle caratteristiche dei prodotti venduti, tabella nutrizionale, allergeni e scadenza, manutenzione e avvenuta sanificazione del distributore e possibilità di interagire con il d.a. stesso inviando un messaggio acquisito poi dal nostro call-center. Su questa piattaforma è venuto spontaneo caricare sistemi di pagamento che prevedono la collaborazione con Satispay e svariate carte di credito.
Avete investito nella telemetria. Come sfruttate questa tecnologia?
È una sfida che affrontiamo in termini di “narcisismo” e di “esibizionismo” (ride ndr). Per assurdo anche una lamentela per disservizio è una preziosa occasione per creare la fidelizzazione della clientela. La telemetria è il nostro filo diretto con gli utenti dei distributori.
Buona parte dei nostri d.a. sono già interconnessi; stiamo procedendo per arrivare almeno al 40% del parco macchine.
Nel Vending, a parole la qualità del servizio è tutto. DI.A riesce a fare qualità senza sacrificare il prezzo?
La qualità è la declinazione del rispetto che abbiamo verso i clienti. Poi, diventa anche elemento strategico semplicemente perché se un caffè è buono si è portati a prenderne uno in più e così ne trova giovamento il fatturato. In questo modo è più che giustificato il maggior prezzo della materia prima in quanto pregiata. La clientela ci riconosce questi sacrifici, eleggendoci leader di qualità. Ciò ci consente di non deprimere i prezzi di vendita, tenendoli alti sebbene non di quanto sarebbe effettivamente giusto poiché, comunque, siamo condizionati da un mercato decisamente al ribasso.
Quali sono le dinamiche del Vending in Puglia?
I piccoli gestori e gli improvvisati stanno sparendo o cedendo l’attività sotto la scure dell’invio telematico dei corrispettivi e della crisi da Covid. Rimangono in vita le realtà più organizzate.
C’è solo una novità di rilievo. Una grande gestione storica è stata venduta (Somed ndr), lasciando spazi accessibili per i competitors essendo venuta meno la grande influenza che la proprietà aveva presso la clientela. Spazi sui quali noi ci stiamo inserendo più di quanto non lo stiano facendo gli altri, compresi i “big player” – presenti Puglia sin da tempi remoti – anche se, di norma, loro procedono solo per acquisizioni.
Comunque, sembra che un po’ tutti stiano affrontando un momento di riflessione… o di paura… Di certo erano previste invasioni e turbolenze che, al momento, non si sono registrate.
DI.A Vending e salutismo. Siete all’avanguardia anche in questo campo?
Con “Sana voglia” demmo vita, in tempi non sospetti, a un progetto sostenibile con l’ambizione di educare il consumatore a una sana alimentazione attraverso l’offerta di prodotti salutistici e a KM Zero.
Come trattate un segmento spigoloso come il porzionato?
Qualche anno fa avevamo lanciato il progetto “Diadomus” per servire con il porzionato prevalentemente le famiglie, ma non ha trovato ancora piena applicazione.
Il domestico è un segmento, al pari dell’OCS, su cui non abbiamo mai investito e lo abbiamo solo utilizzato per completezza d’offerta presso i clienti già serviti con il Vending o per situazioni in cui non si poteva farne a meno. Come dire, ora abbiamo costruito la macchina ma non abbiamo trovato ancora la strada giusta che ci permetta di avere una chance di staccarci dalla parapiglia di questo complicato settore.
Tra le certificazioni di cui vi fregiate ce ne sono un paio che suscitano interesse: la ISO 37001:2016 e la SA8000:2014. Quali tematiche riguardano?
La ISO:37001 detta uno standard di gestione per coloro che si vogliono dotare di uno strumento valido nella lotta contro la corruzione, istituendo una cultura di legalità e trasparenza. Praticamente ha certificato un nostro valore fondamentale che è quello dell’onestà.
La SA8000 insiste sulla responsabilità sociale delle aziende basata sulla sicurezza sul lavoro nel pieno rispetto dei diritti umani. Anche questa è una certificazione che DI.A aveva già “nel sangue”.
Il vero orgoglio di tutte le nostre certificazioni è nell’aver ricevuto i complimenti da parte dei delegati alla formazione che hanno trovato buona parte dei loro modelli e procedure sovrapponibili a quelli che già avevamo in corso.
Avete già affrontato il ricambio generazionale in azienda?
Sì. Lo abbiamo affrontato e felicemente risolto. Devo essere sincero: con qualche patema.
Mio figlio Nicola, fin da piccolo, ha collaborato con l’azienda. Questo mi creava segrete aspettative. Però, appena uscito dall’Università, fu subito assunto da una multinazionale da cui, dopo qualche anno, si licenziò per fondare una sua azienda di software che viaggiava a gonfie vele. Senza farmi troppe illusioni, ma giusto per scrupolo prima di prendere altre decisioni, gli chiesi se non era il caso che entrasse a far parte di DI.A Immagini la mia felicità quando mi rispose di sì.
Situazione analoga, sebbene con motivazioni diverse, per il Sig. Raffaele che ha portato in società suo genero Maurizio Carlucci, con un passato da calciatore professionista, che si è subito distinto nell’area commerciale.
Abbiamo allestito una bella squadra che sta scalando la classifica di un prestigioso “campionato”. Il ricambio generazionale è servito anche per aggiornare la brand identity con relativa campagna di comunicazione. Abbiamo deciso di rinnovare il logo stando attenti a mantenere i caratteri che da sempre ci hanno contraddistinto.
Mai avuta la tentazione di vendere la DI.A?
Sì, sia da parte mia che da parte del Sig. Raffaele quando non nutrivamo molte speranze nel ricambio generazionale. Sarebbe stata comunque una scelta sofferta visto che abbiamo “cresciuto” l’azienda come fosse un figlio.
In 31 anni come è cambiato il lavoro del gestore e il Vending?
Il Vending si è dovuto adeguare alla domanda più esigente del mercato, a sua volta stimolata da un’offerta sempre più evoluta e rispondente ai nuovi bisogni. Informatizzazione, sistemi di pagamento, nuova concezione del momento di pausa e ristoro; tutti elementi che hanno fatto apprezzare il nostro lavoro, a cominciare dal caricatore che è diventato un professionista riconosciuto da parte di milioni di fruitori del servizio.
La crisi del Covid più che ridimensionare l’immagine del Vending l’ha elevata in ragione del riconoscimento del suo riconquistato valore sociale. Siamo stati l’unica fonte di ristoro negli ospedali e nei luoghi di cura. Spero che, da adesso in poi, si ponga fine al malcostume di considerarci “bancomat” anziché aziende di servizio e si dia merito ai veri gestori piuttosto che a quelli che offrono solo maggiori ristorni. I ristorni sono il male che affligge il Vending. È la degenerazione sul mercato di un bene evoluto.
Qual è l’augurio che vuole fare a DI.A Vending?
Il dramma del nostro tempo sta nella mancanza di modelli per quelli che sono i valori fondamentali della vita.
L’augurio che faccio alla DI.A è di continuare a essere un riferimento educativo verso i suoi collaboratori e un modesto faro di mercato con particolare riguardo al rispetto delle persone, delle cose e della natura.
Enrico Capello