La credibilità del Vending non passa solo dai bilanci ma dalle regole…

Il settore alle prese con la sua maturità industriale

 

Il settore del Vending ha superato, da tempo, la sua “adolescenza” industriale. Non è più un comparto di sole “macchinette”, ma un vero sistema economico complesso, che intreccia logistica, tecnologia, alimentare, lavoro, sanità, pubblica amministrazione, sostenibilità e, sempre più, il diritto.

Eppure, ancora oggi, il Vending soffre di un paradosso: è un settore maturo nei numeri, nei fatturati, nell’organizzazione industriale, ma spesso trattato come marginale sul piano normativo e contrattuale. Questo scarto tra realtà economica e percezione giuridica sarà, a mio avviso, uno dei principali nodi da sciogliere nei prossimi anni.

Negli ultimi 12 mesi, lo studio che dirigo è stato coinvolto in decine di contenziosi e consulenze che raccontano, meglio di qualsiasi convegno, dove sta andando davvero il mercato della Distribuzione Automatica: gare pubbliche sempre più complesse, contratti tra privati spesso sbilanciati, gestori stretti tra aumento dei costi e rigidità dei canoni, stazioni appaltanti ancora poco consapevoli delle specificità del servizio.

Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici (d.lgs. n. 36/2023) ha introdotto principi importanti: fiducia, risultato, accesso al mercato. Ma il problema non è la norma, è l’applicazione. Nel Vending, più che in altri settori, il rischio è che venga applicato un modello “da lavori pubblici” a un servizio che, per sua natura, dovrebbe essere trattato come una concessione di servizi: un sistema economico-finanziario dinamico, fondato su rotazioni rapide, margini contenuti, investimenti iniziali elevati e logiche industriali elastiche.

Un distributore automatico non è un’opera da realizzare una tantum, ma un servizio continuo, quotidiano, fatto di rifornimenti, manutenzioni, rapporti umani, microeconomia reale. Eppure, capita sempre più volte di vedere bandi costruiti come se si trattasse di appalti tradizionali, con requisiti e penali sproporzionati e durate incoerenti con gli investimenti richiesti. Tutto questo non tutela la Pubblica Amministrazione: la espone, al contrario, a contenziosi, disservizi e gare deserte.

Sul fronte del privato, la situazione non è meno delicata. Alberghi, cliniche, aziende, centri sportivi: il Vending è dappertutto, ma troppo spesso i rapporti sono regolati da contratti standard, sbilanciati, privi di una vera disciplina del rischio. La morosità, la risoluzione unilaterale, il cambio di gestione, il subentro sono diventate patologie sistemiche, non eccezioni.

C’è poi un grande tema che attraversa l’intera filiera del Vending: la sostenibilità. Non come slogan, ma come obbligo giuridico ed economico. I CAM (Criteri Ambientali Minimi), le certificazioni ambientali, la tracciabilità delle filiere non sono più “opzioni reputazionali”, ma presupposti per stare sul mercato, soprattutto nel pubblico. Anche qui, però, serve equilibrio: sostenibilità non può significare esclusione delle piccole e medie imprese, che sono l’ossatura vera del Vending italiano.

Questo settore non ha bisogno di più burocrazia. Ha bisogno di regole giuste, comprensibili, applicate con competenza. Ha bisogno di stazioni appaltanti formate. Ha bisogno di contratti scritti bene. Ha bisogno, soprattutto, di una presa di coscienza collettiva: il Vending non è più un servizio accessorio, ma un’infrastruttura, silenziosa ma onnipresente e imprescindibile, del nostro vivere quotidiano.

Come avvocato, ma prima ancora come osservatore, vedo un settore che ha tutte le carte per crescere ancora, ma che deve imparare a difendersi meglio: nei contratti, nelle gare, nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, nelle crisi aziendali.

La legalità non è un freno allo sviluppo. È, al contrario, la sua condizione minima di credibilità. E il Vending, oggi più che mai, ha bisogno di essere credibile non solo nei bilanci, ma anche nelle regole.

 

Avv. Eugenio Tristano

info@studiotristano.com

 

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