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Materie prime: Preoccupa il prezzo del caffè

Gabriele Picello

Nessuna schiarita sul fronte dei prezzi del petrolio: produzione stabile. Sul Gas Naturale pesa il fattore Russia. Per acciaio/alluminio c’è l’accordo sui dazi tra Stati Uniti e Unione Europea

 

GAS NATURALE: CALANO I PREZZI, RUSSIA SOTTO PRESSIONE

I dati in arrivo a mercato relativi al settore del gas naturale evidenziano alcuni elementi ben precisi, ovvero produzione e scorte in aumento e domanda inferiore alle attese: questo mix di elementi si è tradotto in un calo delle quotazioni del gas sia sulla piazza statunitense che su quella europea.

La U.S. Energy Information Administration (EIA) ha dichiarato un aumento delle scorte in linea con le attese degli analisti e nettamente al di sopra dell’aumento del prodotto stoccato registrato nel corso dell’anno passato in questo stesso periodo.

La contrazione dei prezzi si mostra ancora più marcata sulla piazza europea, complici le notizie in arrivo dalla Russia, che vedono Mosca pronta a inviare flussi di gas aggiuntivi in vista dell’inverno. Scendendo nel dettaglio, il Presidente russo, Vladimir Putin avrebbe ordinato al colosso Gazprom di iniziare a pompare quantità maggiori di gas nei siti di stoccaggio europei non appena terminato il processo di ricostruzione delle scorte del Cremlino: un obiettivo che dovrebbe essere conseguito entro l’8 novembre 2021.

La Russia gioca, quindi, un ruolo fondamentale nel settore del gas europeo; tuttavia, il suo enorme peso potrebbe decisamente diminuire se il mercato non considerasse più Mosca come un fornitore affidabile.

Numerosi operatori di settore accusano, infatti, la Russia di aver manipolato il mercato, trattenendo le forniture di gas al fine di garantire l’approvazione di un nuovo gasdotto che transiterebbe al di sotto del Mar Baltico: il Nord Stream 2. Questo comportamento scorretto avrebbe causato parte della carenza di gas a cui abbiamo assistito nelle settimane passate e che ha determinato il picco di prezzo. Dopo le parole del presidente Putin, i prezzi del gas UE sono scesi di circa il 40%.

Chiaramente, sarà molto difficile dimostrare che la Russia abbia agito perseguendo quella che potrebbe essere una strategia improntata al ricatto. Tuttavia un dato è certo: che si tratti di condotta dolosa o meno, l’Europa ha ricevuto un volume di gas inferiore a quello di cui necessitava e questo andrà sicuramente a pesare sulla reputazione di Mosca.

Il fatto che la Russia abbia dato priorità alla ricostruzione delle scorte locali non deve sorprenderci. Si tratta, in fin dei conti, di una strategia logica, ma il problema evidenziato dagli operatori è che se Gazprom non è stata in grado di portare a termine entrambe le operazioni – ripristinare le scorte locali e rifornire la Piazza europea – la mancata capacità produttiva di Mosca esporrà l’Europa a nuove possibili carenze di offerta. E ancora: se l’ipotesi del ricatto dovesse rivelarsi fondata, allora la situazione potrebbe essere peggiore del previsto, in quanto dovemmo chiederci quale potrebbe essere la prossima coercizione del Cremlino a cui dovremo sottostare.

In queste condizioni, la risposta europea dovrebbe essere una sola: differenziare le fonti di approvvigionamento, tenendo in maggior considerazione altri fornitori come, ad esempio, gli USA.

 

ACCIAIO E ALLUMINIO: C’È L’ACCORDO SUI DAZI

Lo scorso 31 ottobre Stati Uniti e Unione Europea hanno posto ufficialmente fine alla disputa riguardante i dazi applicati su acciaio e alluminio. I rispettivi funzionari hanno affermato che lavoreranno per raggiungere un accordo globale atto a combattere l’eccesso di capacità di settore e tutte quelle attività produttive considerate troppo dannose per l’ambiente.

La nuova intesa rappresenta una sfida per la Cina, che pesa per oltre il 50% della produzione mondiale di acciaio e che è additata da USA ed UE come una vera e propria minaccia per la sopravvivenza delle rispettive industrie siderurgiche.

“Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno raggiunto un importante obiettivo che affronterà la minaccia del cambiamento climatico proteggendo, al contempo, i posti di lavoro e l’industria americana”: questo il commento del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, rilasciato a Roma durante l’ultimo G20.

In base all’accordo, Washington consentirà ai Paesi dell’UE l’accesso, esente da dazi, alle esportazioni di acciaio e alluminio negli Stati Uniti in volumi paragonabili a quelli spediti prima dell’intervento dell’amministrazione Trump nel 2018 e, in risposta, l’UE ha rimosso i dazi applicati su whisky, barche a motore e motociclette Harley-Davidson.

Non si tratta, tuttavia, di un semplice ritorno allo “status quo” ante 2018, in quanto USA ed UE intendono affrontare la minaccia del cambiamento climatico e l’eccesso di capacità produttiva dell’industria siderurgica che, come noto, rappresenta una tra le maggiori fonti di emissioni dannose.

“Insieme, USA e UE lavoreranno per limitare l’ingresso nei loro mercati dell’acciaio “sporco” (prodotto senza rispetto per l’ambiente, ndr) e a quei Paesi che portano l’acciaio nei nostri mercati contribuendo al surplus di produzione mondiale”: questa la dichiarazione rilasciata dai funzionari della Casa Bianca, mentre molto più esplicito si è mostrato il presidente Biden, che ha fatto chiaro riferimento alla Cina.

L’accordo, che mira alla produzione “green” dell’acciaio, verrà ulteriormente perfezionato nei prossimi 2 anni e sarà aperto a qualsiasi Paese desideri farne parte, compresa la Cina, il cui settore siderurgico pesa per una media del 15% delle emissioni dannose “in loco”.

 

CAFFÈ ROBUSTA: NON SI FERMANO GLI AUMENTI

Il prezzo del caffè robusta è balzato al livello più elevato degli ultimi 4 anni a causa all’enorme interesse degli acquirenti che si riforniscono dai magazzini degli exchange al fine di ricostruire le scorte ormai ridotte all’osso.

I futures sul caffè robusta – piazza di Londra – sono aumentati del 60% nel 2021, a causa del danneggiamento dei raccolti imputabile a condizioni meteo avverse e dei problemi logistici che hanno frenato le esportazioni del Vietnam. In questo contesto Nestlè ha spiegato a investitori e analisti che il rialzo dei costi di input si tradurrà in un aumento del prezzo del caffè nell’anno venturo.

Nella sessione di lunedì 25 ottobre 2021, il caffè robusta ha guadagnato fino al 3,7% in vista del “First notice day” del 26 ottobre, giorno in cui i partecipanti al mercato sono tenuti a dichiarare se prenderanno in consegna il prodotto o andranno contro il contratto di novembre.

Il “First notice day” da sempre causa una certa volatilità, soprattutto sul contratto front. Una previsione che è stata ampiamente rispettata, poiché nella giornata del 26 ottobre i prezzi del caffè robusta hanno lambito i massimi pluriennali, raggiungendo quota 2.344 dollari a fronte di un minimo di sessione a quota 2.186 dollari.

 

CAFFÈ ARABICA: ANCORA LONTANI I RIBASSI

Passando al caffè arabica, alcune fonti di settore affermano che potremmo trovarci a far fronte agli attuali prezzi elevati ancora per un lungo periodo di tempo, con le interruzioni nel trasporto di caffè in tutto il mondo causate dalla carenza di container e dalla congestione dei porti che contribuiranno in modo significativo al protrarsi di questa situazione di mercato, rendendo più difficile riequilibrare le forniture.

Durante la conferenza annuale organizzata dalla Swiss Coffee Trade Association (SCTA), analisti e commercianti hanno affermato che i problemi di trasporto impediscono alle forniture disponibili di muoversi rapidamente per soddisfare la domanda in alcune aree del mondo, aumentando i prezzi della merce.

“Quando hai un deficit di fornitura ti aspetti un drenaggio delle scorte con i prezzi elevati della merce che stimolano le operazioni di trasporto, ma questo non è quello che sta accadendo spiega Ben Clarkson, responsabile settore caffè presso Louis Dreyfus – . Ci sono rischi di prezzi elevati: il mercato sta tentando di trovare un punto di equilibrio, ma non ci è ancora riuscito”.

“Prevediamo un deficit di circa 4 milioni di sacchi, ma altri analisti si spingono fino a 7 milioni”: questo il commento di Carlos Mera (Rabobank), che spiega come il mercato sia anche danneggiato da esportazioni che procedono a rilento.

Gli esperti hanno affermato che gli attuali prezzi elevati aumenteranno la produzione in Paesi e Regioni diversi dal Brasile, come Colombia, America Centrale e Africa, il che porterà a un’offerta più equilibrata. Questa operazione richiederà, però, del tempo.

 

ZUCCHERO: DEFICIT PRODUTTIVO

La produzione di zucchero nella regione centro-meridionale del Brasile dovrebbe ammontare a 33 milioni di tonnellate nell’anno agricolo 2021/22 (da aprile a marzo). Questo è quanto affermano i tecnici dell’USDA, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. Il volume citato dai funzionari USA si presenta inferiore del 15,2% rispetto a quello stimato per la stagione 2020/21, ovvero 38,9 milioni di tonnellate. Attesa in calo a 535 milioni di tonnellate (-12%) anche la quantità di canna lavorata.

L’ufficio dell’USDA a San Paolo (Brasile) ha notato che il clima secco nel 2020, in particolare tra agosto e ottobre, ha ridotto il potenziale produttivo. Inoltre, il volume delle precipitazioni nei primi nove mesi del 2021 è stato inferiore alla media, limitando lo sviluppo dei campi di canna da zucchero.

Il mix di produzione zucchero-energia nel 2021/22 dovrebbe essere del 45,5% per lo zucchero e del 54,5% per l’etanolo, rispetto rispettivamente al 46,15% e al 53,85% dell’ultimo ciclo.

Nonostante l’aumento dei prezzi dell’etanolo anidro durante il raccolto in corso, i prezzi dei biocarburanti sono generalmente meno interessanti di quelli dello zucchero, ha affermato l’USDA. Secondo l’USDA, le esportazioni di zucchero brasiliane nel 2021/22 dovrebbero scendere del 19%, a 26 milioni di tonnellate, a causa del minor surplus; tuttavia il rafforzamento del dollaro rispetto al Real potrebbe mantenere il prodotto brasiliano altamente competitivo.

 

PETROLIO: LA OPEC+ NON INTERVIENE SULLA PRODUZIONE

Nella giornata del 4 novembre si è tenuta la tanto attesa riunione OPEC+ (il gruppo misto dei produttori di petrolio, costituito dai membri del Cartello e dai loro alleati esterni), ma coloro che si attendevano un drastico intervento sugli equilibri di mercato sono rimasti delusi, in quanto si è deciso di attenersi all’attuale strategia che prevede un aumento a dicembre della produzione di petrolio pari a 400.000 barili giornalieri.

Sostanzialmente, le pressioni in arrivo da Stati Uniti e da altri grandi utilizzatori affinché la OPEC+ aumentasse la produzione più velocemente, al fine di raffreddare i mercati, è passata inascoltata. Anzi, alcuni membri dell’Organizzazione non hanno esitato a stuzzicare Washington, affermando che “… gli Stati Uniti hanno la capacità di aumentare loro stessi la produzione nel caso in cui volessero aiutare il mondo ad accelerare la ripresa economica…”.

La provocazione arriva dopo le dichiarazioni rilasciate dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, durante l’ultimo G20 a Roma. Dichiarazioni nella quali esortava i principali Paesi produttori con grandi capacità inutilizzate ad aumentare la produzione di petrolio per garantire una crescita economica globale più solida.

I produttori, tuttavia, sono intimoriti dai ritmi produttivi troppo elevati, in quanto temono ulteriori battute d’arresto derivanti da un eventuale peggioramento della pandemia.

I prezzi del Brent, in forte rialzo prima della riunione del 4 novembre, hanno annullato i guadagni e subito dopo le dichiarazioni post-meeting si sono attestati a ridosso degli 81,9 dollari per barile, dopo un massimo di sessione al di sopra degli 84 dollari.

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