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Fenomenologia del cliente del Vending: i vari “casi umani”

Michele Amoruso

La scelta del gestore Vending da parte del cliente rimane senz’altro una tra le questioni più spinose, a volte oserei dire persino grottesche, del nostro settore. Con un pizzico di ironia, in questo editoriale ho voluto raccogliere alcuni tipi di clienti nei quali mi sono imbattuto io e credo anche voi.

Ritengo sia interessante riflettere sulle dinamiche che portano un cliente a scegliere l’impresa di distributori automatici all’interno della propria azienda. Non parlerò di temi politicamente corretti – come la qualità, il servizio, le certificazioni e la tipologia di macchine – ma dell’amara realtà che noi gestori dobbiamo affrontare tutti i giorni.

Soprassedendo sugli appalti pubblici, mi concentrerò sulle aziende private dalle quali siamo considerati dei fornitori sui generis: pur garantendo un servizio essenziale, quando gestiamo distributori automatici “a prelievo cassetta” di norma non riceviamo ordinativi, né emettiamo fatture. Per questo motivo, i nostri interlocutori aziendali sono le figure più disparate: dal titolare al responsabile acquisti, dalle organizzazioni sindacali al responsabile di produzione o dei servizi (nelle aziende strutturate) e chi più ne ha più ne metta.

Dobbiamo quindi trattare con soggetti molto diversi, che prendono decisioni nei modi più svariati. Ecco i più popolari.

I CLIENTI TIPO

Iniziamo dagli inquieti, categoria nella quale rientrano tutti coloro ai quali è stato affidato l’ingrato compito di scegliere il servizio Vending e che sono consapevoli dei rischi che corrono: in caso di problemi con le macchinette si inimicheranno tutti i colleghi o i dipendenti. Dal momento che la loro principale preoccupazione è non avere complicazioni, vorrebbero un ARD o un tecnico che prendesse la residenza presso l’azienda per interventi istantanei 24/24h.

Sul fronte opposto, ci sono i minimalisti, che al telefono dicono di essere senza servizio e che chiedono di consegnare le macchinette l’indomani, senza alcun sopralluogo e naturalmente limitandosi a chiedere delle macchinette. Senza aggiungere altro. Less is more? Non in questo caso!

Sul fronte opposto ci sono i precisi. Durante la trattativa commerciale chiedono di tutto, dal residuo fisso dell’acqua al catalogo completo degli snacks, schede tecniche comprese, per disegnare il planogramma del distributore a spirali.

E che dire poi dei collezionatori seriali? Raccolgono le offerte (che loro chiamano preventivi) di tutti i gestori della zona (e non solo), limitandosi però a confrontare solo le foto delle macchinette e i prezzi, sollecitando tutti i potenziali fornitori affinché le offerte arrivino “prima di subito”. Peccato però che dopo quest’analisi “scientifica” lascino cadere tutto nel dimenticatoio per mesi o anni.

Un’altra categoria molto diffusa è quella dei parsimoniosi. Il caffè per loro è un bene primario che deve costare poco, un po’ come la michetta di pane; ogni centesimo in più richiesto dal gestore è sconsiderato e immotivato. Qualità dei prodotti? Puntualità del servizio? Certificazioni? Dettagli trascurabili. L’importante è che il caffè costi poco “perché non è servito in una tazzina di porcellana come al bar!”.

I miei preferiti, però, sono gli sbadati. Quelli che dopo una lunga e difficile trattativa scoprono di avere un contratto con l’attuale gestore per altri tre anni. Il risultato? Tutto rimandato … a data da destinarsi.

Ci sarebbe molto altro da dire – e da scrivere – ma per ovvie ragioni mi fermo qui.

Coraggio: domani è un altro giorno che ci regalerà un nuovo campionario antropologico…

 

Michele Amoruso

Amministratore Delegato Orasesta Spa

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