Il giudizio di idoneità/inidoneità del lavoratore alla mansione a cui è stato adibito è espresso dal Medico Competente sulla base delle risultanze delle visite mediche di cui all’art. 41 c. 2 del D.lgs. 81/2008, nel corso delle quali il lavoratore può chiedere l’accertamento della compatibilità della mansione svolta con il proprio stato di salute.
L’art. 41 del Decreto Legislativo n. 81/2008 prevede, per il Medico Competente incaricato, l’obbligo di effettuare la sorveglianza sanitaria che comprende:
Di norma, nel settore del VENDING la periodicità di tali accertamenti viene stabilita in una volta all’anno per i tecnici e per gli addetti al magazzino, mentre per gli ARD, gli amministrativi e i commerciali può assumere cadenza diversa (biennale o quinquennale), stabilita dal Medico Competente in funzione della valutazione del rischio e di altri diversi fattori di carattere individuale.
L’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal Medico Competente:
I possibili giudizi relativi alla mansione specifica che possono essere espressi dal Medico Competente presentano sostanzialmente 4 opzioni:
Vediamo di fare chiarezza su quali conseguenze possono derivare per il lavoratore e per l’azienda in caso di non idoneità alla mansione specifica espressa dal Medico Competente, premettendo che, nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea, dovranno essere precisati i limiti temporali del giudizio e che avverso tale giudizio è ammesso ricorso entro 30 giorni dalla data di comunicazione all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.
In caso di emissione del certificato di inidoneità alla mansione specifica, il datore di lavoro sarà quindi tenuto ad attuare le misure indicate dal Medico Competente, adibendo il lavoratore (ove possibile) a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori (al solo fine di tutelare la salute del Lavoratore), garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
Seppur numericamente irrilevante da un punto di vista statistico, nella nostra esperienza professionale nell’ambito del VENDING abbiamo purtroppo avuto necessità di confronto con l’emissione della certificazione di inidoneità permanente da parte del Medico Competente con tutte le conseguenze del caso, prima fra tutte la valutazione circa la necessità di procedere al licenziamento del lavoratore interessato.
Fatto salvo che la prima opzione che il datore di lavoro si troverà ad affrontare sarà sempre la ricollocazione del lavoratore in un’area aziendale priva dei fattori di criticità che possano permetterne l’impiego e non potendo fornire un percorso univoco in termini di azione, ci limiteremo a ripotare alcune sentenze di Cassazione in materia:
L’inidoneità sopravvenuta alla mansione impone al datore di lavoro la verifica in ordine alla possibilità di ricollocare il lavoratore in attività diverse riconducibili a mansioni equivalenti o inferiori, anche attraverso un adeguamento dell’organizzazione aziendale (Cass. Civ., sez. Lav., sent. n. 27243 del 26 ottobre 2018).
In caso di sopravvenuta impossibilità parziale allo svolgimento della prestazione, sussiste il diritto del lavoratore a essere assegnato a mansioni diverse ed equivalenti (se sussistenti in azienda), e anche inferiori, dietro manifestazione di consenso dello stesso alla dequalificazione finalizzata alla salvaguardia del superiore interesse all’occupazione. Il lavoratore deve attivarsi precisando al datore di lavoro le residue attitudini professionali tali da rendergli possibile una diversa collocazione in azienda (Cass. 5/8/00, n. 10339).
La sopravvenuta inidoneità psicofisica del lavoratore può giustificare il licenziamento solo se il datore di lavoro offre documentazione specifica che attesti la inidoneità stessa e dia prova di aver valutato correttamente la possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni compatibili (Trib. Ravenna 29/10/2007 ord., Giud. Riverso).
Il lavoratore licenziato dal datore di lavoro a seguito dell’accertamento di inidoneità può, in ogni caso, impugnare il licenziamento contestando l’accertamento e al Giudice del Lavoro è rimesso il sindacato sulla correttezza del giudizio espresso, anche disponendo consulenza tecnica d’ufficio (nella specie il tribunale ha anche affermato che non è conforme a buona fede e correttezza il comportamento del datore di lavoro che ha licenziato il lavoratore immediatamente dopo l’accertamento di inidoneità senza attendere che trascorresse il termine per impugnare il giudizio dinanzi all’organo di vigilanza) – (Corte Appello Bari, 15 luglio 2003, in Gius. 2004, 268).
Non è legittimo il licenziamento di una lavoratrice che abbia perso una parte della capacità lavorativa qualora risulti possibile al datore di lavoro modificare la propria organizzazione aziendale compatibilmente con le sopravvenute limitazioni della lavoratrice medesima. Infatti, non può ritenersi un onere eccessivo e sproporzionato per l’azienda – tale da escludere l’obbligo del cosiddetto repêchage – il sopraggiunto forzato minore rendimento della lavoratrice, dipendente da oltre 20 anni, e la conseguente necessità di sopperirvi con altra forza lavoro (Trib. Milano 26 ottobre 1999).
Nel diritto del lavoro l’espressione “obbligo di repechage” rimanda alla consolidata giurisprudenza in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovvero quello determinato “da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (art. 3 della Legge 15 luglio 1966 n. 604). Tali ragioni possono dipendere da specifiche esigenze aziendali (ad es. una riorganizzazione che comporti la soppressione del posto occupato da un determinato dipendente) oppure da situazioni riferibili al lavoratore ma a lui non addebitabili in termini di inadempimento (ad es. la sopravvenuta inidoneità fisica all’esercizio delle mansioni contrattuali).
In materia, la Giurisprudenza della Corte di Cassazione afferma che l’onere della prova gravante sul datore di lavoro, ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 604/66 relativamente all’esistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, si estende altresì alla dimostrazione di non poter ragionevolmente utilizzare il dipendente interessato in altre mansioni equivalenti o, in mancanza, anche in mansioni deteriori, col limite del rispetto della dignità del lavoratore (Cass. 19/8/04 n. 16305, pres. Mattone, est. Balletti), senza che ciò comporti rilevanti modifiche organizzative comportanti ampliamenti di organico o innovazioni strutturali (Cass. 7/1/05 n. 239, pres. Senese, est. D’Angelo; 30/8/00 n. 11427, pres. Ianniruberto, est. Vidiri),
Relativamente alle aziende il cui organico comporta l’obbligo di assunzione della categoria disabili (Legge 68/1999), è opportuno ricordare che i lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia non possono essere computati nella quota di riserva di cui all’articolo 3 se hanno subito una riduzione della capacità lavorativa inferiore al 60% o, comunque, se sono divenuti inabili a causa dell’inadempimento da parte del datore di lavoro, (accertato in sede giurisdizionale) delle norme in materia di sicurezza e igiene. Per i predetti lavoratori l’infortunio o la malattia non costituiscono giustificato motivo di licenziamento nel caso in cui essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori. Nel caso di destinazione a mansioni inferiori, essi hanno diritto alla conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza. Qualora per i predetti lavoratori non sia possibile l’assegnazione a mansioni equivalenti o inferiori, gli stessi vengono avviati, dagli uffici competenti di cui all’articolo 6, comma 1, presso altra azienda, in attività compatibili con le residue capacità lavorative, senza inserimento nella graduatoria di cui all’articolo 8.
In ultimo, si sottolinea che la locuzione “ove possibile” – citata in precedenza – sta di fatto a significare che, se l’azienda non dispone di mansioni alternative può anche procedere al licenziamento.
Si raccomanda, pertanto, molta prudenza nel richiedere l’accertamento del Medico Competente, procedendo, eventualmente, in primis, con la consulenza e l’assistenza delle organizzazioni sindacali o di Ente di Patronato, in quanto il datore di lavoro non può procedere al licenziamento del lavoratore con disabilità sulla scorta del solo giudizio di inidoneità alla mansione specifica espresso dal Medico Competente, senza attivare la procedura prescritta dalla Legge 68/99.
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Bruno Scacchi