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Il datore di lavoro e l’obbligo vaccinale anti-Covid

Come deve comportarsi l’imprenditore, qualora il dipendente si rifiuti di assumere il vaccino? Tra diritti e doveri, ecco spiegato quando è possibile sanzionare il lavoratore

A seguito della messa a disposizione sempre più capillare dei vaccini anti Covid-19, un quesito ricorrente è se il datore di lavoro abbia l’obbligo di pretendere la vaccinazione, nonché, correlativamente, di allontanare i lavoratori che rifiutino di vaccinarsi.

 

IL QUADRO NORMATIVO

Una prima risposta in ordine al comportamento del datore di lavoro la fornisce l’art. 2087 c.c., secondo il quale “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Il dettato dell’art. 2087 c.c. sopra citato, nella sua genericità, non fornisce tuttavia risposte esaustive in ordine agli obblighi del datore di lavoro in materia di vaccinazione da Covid-19.

Un primo elemento di maggiore specificità lo fornisce il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, TUSL).

In particolare, l’art. 279, al secondo comma, dice che “Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali:

a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente;

b) l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell’articolo 42”.

L’art. 42 stabilisce che “Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”.

L’art. 18 del su menzionato d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (TUSL), stabilisce, inoltre, che il datore di lavoro ha l’onere di:

a) nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo;

b) designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza;

c) nell’affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza;

d) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente;

e) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;

f) richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione;

g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto;

g-bis) nei casi di sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, comunicare tempestivamente al medico competente la cessazione del rapporto di lavoro;

h) adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

i) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;

l) adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli 36 e 37;

m) astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato;

n) consentire ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute;

o) consegnare tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta di questi e per l’espletamento della sua funzione, copia del documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche su supporto informatico come previsto dall’articolo 53, comma 5, nonché consentire al medesimo rappresentante di accedere ai dati di cui alla lettera r); il documento è consultato esclusivamente in azienda;

p) elaborare il documento di cui all’articolo 26, comma 3, anche su supporto informatico come previsto dall’articolo 53, comma 5, e, su richiesta di questi e per l’espletamento della sua funzione, consegnarne tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; il documento è consultato esclusivamente in azienda;

q) prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio;

r) comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli infortuni sul lavoro che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento e, a fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni; l’obbligo di comunicazione degli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni si considera comunque assolto per mezzo della denuncia di cui all’articolo 53 del Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124;

s) consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nelle ipotesi di cui all’articolo 50;

t) adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei luoghi di lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato, secondo le disposizioni di cui all’articolo 43. Tali misure devono essere adeguate alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda o dell’unità produttiva e al numero delle persone presenti;

u) nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro;

v) nelle unità produttive con più di 15 lavoratori, convocare la riunione periodica di cui all’articolo 35;

z) aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione;

aa) comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8, in caso di nuova elezione o designazione, i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima applicazione l’obbligo di cui alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori già eletti o designati;

bb) vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l’obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità.

Il datore di lavoro fornisce altresì al servizio di prevenzione e protezione e al medico competente informazioni in merito a:

a) la natura dei rischi;

b) l’organizzazione del lavoro, la programmazione e l’attuazione delle misure preventive e protettive;

c) la descrizione degli impianti e dei processi produttivi;

d) i dati di cui al comma 1, lettera r), e quelli relativi alle malattie professionali;

e) i provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza.

Per quanto concerne i lavoratori, a mente del successivo art. 20, ciascuno di essi “(…) deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”

Le disposizioni sopra richiamate devono essere lette alla luce della Direttiva dell’Unione Europea 2020/739, del 3 giugno 2020, che ha modificato l’allegato III della direttiva 2000/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, inserendo il SARS-CoV-2 nell’elenco degli agenti biologici che possono causare malattie infettive nell’uomo e che ha modificato la direttiva (UE) 2019/1833 della Commissione.

Tale direttiva è stata recepita dall’ art. 4 del D.L. 7 ottobre 2020, dal D.L. 9 novembre 2020 n. 149 nonché dall’art. 13-sexiesdecies del Decreto Ristori (D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020 n. 176).

 

GLI OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO

Da quanto riportato, emerge, quindi, che l’inosservanza degli obblighi a carico del datore di lavoro, che siano causa di un’infezione da Covid-19, può far sorgere a suo carico, nonché a carico del medico competente, l’addebito di omicidio colposo o di lesione personale colposa, previa dimostrazione del nesso causale tra l’evento dannoso e il comportamento negligente dei soggetti interessati.

Come deve comportarsi il datore di lavoro, qualora il dipendente si rifiuti di assumere il vaccino?

Prima di rispondere, occorre chiarire che il dipendente che si sia rifiutato di assumere il vaccino dovrà essere dichiarato inidoneo dal medico competente, unico soggetto legittimato e responsabile ad assumere le informazioni e giudicare in merito all’idoneità del lavoratore per specifiche mansioni.

Il Garante per la Privacy ha, infatti, evidenziato che il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti se si sono vaccinati o meno, né ottenere dal medico competente i nominativi dei lavoratori vaccinati e neppure obbligare alla vaccinazione anti-Covid-19 i dipendenti come condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e lo svolgimento di determinate mansioni

Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, abbia tuttavia messo a disposizione il vaccino rifiutato dal lavoratore, non residua alcun margine in capo al medico stesso per fornire un giudizio diverso dall’inidoneità per ogni mansione che comporti contatto con il pubblico o con altri dipendenti.

All’esito di tale giudizio, il datore di lavoro potrà/dovrà, quindi, adibire, ove possibile, il lavoratore ad altra mansione analoga a quella da quest’ultimo già ricoperta, al fine di garantire l’incolumità di tutti i dipendenti (ivi incluso il singolo che si rifiuta di vaccinarsi), ovvero anche demansionarlo, qualora non sia possibile la suddetta ricollocazione, conservandogli tuttavia la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originaria.

Invero, qualora un dipendente sia impiegato in mansioni a contatto con persone che accedono al suo luogo di lavoro, con il connesso rischio di contagio, la sua permanenza in servizio comporterebbe per il datore la violazione dell’obbligo di sicurezza. Pertanto, il datore di lavoro, nell’inibire/limitare l’accesso dei dipendenti che, pur potendolo fare, si sono opposti alla vaccinazione, agisce nell’adempimento di un proprio specifico dovere.

Secondo la giurisprudenza più recente (cfr. Trib. Belluno, ordinanza 19 marzo 2021) è inoltre legittimo porre in ferie retribuite il lavoratore che abbia rifiutato la vaccinazione anti Covid-19, posto che “la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 cc.” e “che è ormai notorio che il vaccino per cui è causa – offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante l’attuale notoria scarsità per tutta la popolazione – costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia”.

Resta fermo, secondo il presidente dell’INAIL che “il rifiuto di vaccinarsi, configurandosi come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto a un trattamento sanitario, ancorché fortemente raccomandato dalle autorità, non può costituire una ulteriore condizione a cui subordinare la tutela assicurativa dell’infortunato”.

Sebbene il rifiuto di vaccinarsi non corrisponda al pressante invito formulato da tutte le autorità sanitarie per l’efficace contrasto della pandemia “questo non preclude in alcun modo, in base alle regole consolidate, l’indennizzabilità dell’infortunio in caso di contagio in occasione di lavoro. Il rifiuto di sottoporsi al vaccino, espressione comunque della libertà di scelta del singolo individuo, non può comportare l’esclusione per l’infortunato dalla tutela Inail”.

In ultimo, occorre dar conto della possibilità, in caso di impossibilità di ricollocamento del lavoratore, della cessazione del rapporto per giustificato motivo oggettivo. Infatti, nella valutazione dell’interesse del datore alla cessazione del rapporto in contrapposizione a quello del lavoratore alla conservazione della propria posizione, parte della dottrina ritiene che il diritto di quest’ultimo sia da considerarsi recessivo, in funzione della tutela del diritto alla salute e alla sicurezza delle altre persone presenti sul luogo di lavoro.

Soltanto le prossime sentenze che affronteranno i temi sopra esposti potranno indicare quale sarà l’orientamento che prevarrà e quali tutele troveranno tutela in sede pretoria.

 

Avv. Eugenio Tristano

info@studiotristano.com

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