Non ci può essere felicità o successo senza il giusto equilibrio tra logica ed emozioni. Non si può neanche sperare di uscire indenni, individualmente e come comunità, dall’emergenza del Covid-19 senza la capacità di coniugare il cervello con il cuore, la nostra parte razionale con quella emotiva.
Ma non è semplice. L’intelligenza emotiva, così come la chiama il suo più grande guru, Daniel Goleman, fa fatica a farsi spazio nella nostra cultura. Questa abilità, che si insegna, si apprende e si allena, non trova tanto spazio in famiglia e nelle scuole. Molti non sanno neanche che esiste. Ma è poi quella che fa la differenza nel lavoro, così come nella vita. “L’intelligenza emotiva è la capacità di unire pensiero ed emozione per prendere decisioni sostenibili. Significa essere intelligenti con le emozioni”, spiega Lorenzo Fariselli, direttore di Six Seconds Italia, la più grande community al mondo impegnata della divulgazione, ricerca e sviluppo dell’intelligenza emotiva. “Qualcosa che purtroppo nel nostro Paese sappiamo fare poco”, aggiunge. Stando a un’indagine di Six Seconds, l’Italia risulta al di sotto della media internazionale in questa realtà. Per metterci in pari è necessario un cambio di paradigma.
“Bisogna smetterla di considerare le emozioni come se fossero un’interferenza o un ostacolo nella capacità di prendere decisioni giuste, quelle che poi ci portano a essere più produttivi nel mondo del lavoro e più efficienti nella vita in generale – dice Fariselli –. Cresciamo nella convinzione che essere razionali e lasciarsi guidare dalla logica ci induce a fare le scelte migliori, ma non è così”. La logica è importante, certo. Ma non è l’unico faro che deve guidare le nostre azioni. “Ci sono sempre più ricerche che confermano l’importanza di riconoscere le nostre emozioni e quelle degli altri e usarle in molti ambiti, dalla scuola al lavoro, fino alle relazioni sociali”, dice Fariselli. Il World Economie Forum ha inserito l’intelligenza emotiva tra le prime 10 competenze – precisamente al sesto posto – richieste entro il 2020 nel mondo del lavoro.
La buona notizia è che l’intelligenza emotiva non è innata, ma è qualcosa su cui si può lavorare. “Si allena ed è una competenza che può essere sviluppata con appositi training”, dice Fariselli. Ci sono corsi professionali dedicati allo scopo, alcuni dei quali organizzati da Six Seconds.
Ma si può iniziare o addirittura raggiungere l’obiettivo se si riesce a interiorizzare tre principi-guida.
“Il primo è quello che ci suggerisce di accettare le emozioni – riferisce Fariselli –. Questo è forse lo step più
difficile, in cui le emozioni vanno validate e considerate una risorsa anziché un peso”. È solo quando si è raggiunta questa consapevolezza che si passa alla fase due. “Esplorare le emozioni e trasformarle in qualcosa di proficuo – aggiunge –. È richiesta, quindi, una certa intenzionalità, con cui inserire le cose che abbiamo imparato su noi stessi, sulle emozioni e sui comportamenti nei processi decisionali. Ciò richiede di abbandonare la reattività di fronte alle situazioni, non lasciandosi sopraffare da un’unica emozione, come la rabbia”.
La terza dimensione è la strategicità. “Così possiamo scegliere l’opzione più in linea con i nostri valori e nel rispetto del prossimo”.
Attraversare queste tre dimensioni favorisce lo sviluppo dell’intelligenza emotiva e il suo mantenimento, come se fosse un muscolo. “Essendo la traduzione in teoria manageriale di quello che ci dicono le neuroscienze, questa intelligenza sfrutta la neuroplasticità del cervello e ciò significa che, con specifici training, la si sviluppa – assicura l’esperto – . Attenzione, però. Funziona anche al contrario. Il mancato allenamento determina una diminuzione dell’intelligenza emotiva. Questa non è un concetto astratto, ma deve essere trasformata in azione”.
Fonte: “La Stampa” del 31/03/2020