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Emergenza Covid: la revisione del canone concessorio

La legge e la giurisprudenza tutelano il gestore sia nei contratti con gli enti pubblici che tra privati

 

A seguito della pandemia di COVID-19, sono stati adottati numerosi provvedimenti d’urgenza che hanno posto il nostro Paese, per 70 giorni, in una situazione di “fermo” generalizzato. Tale emergenza ha causato, durante il lockdown, il blocco della mobilità e il pressoché totale azzeramento degli accessi in qualsiasi luogo pubblico o privato non ricompreso fra quelli ritenuti “essenziali”. A ciò bisogna aggiungere il perdurante ricorso allo smart working e alle altre forme di distanziamento sociale sui luoghi di lavoro, nelle scuole, nei trasporti e nei luoghi di aggregazione.

Il Vending, che per sua natura si basa sugli utenti finali che acquistano i prodotti, è stato duramente colpito dalla prima ondata del virus e sta tutt’oggi pagando un prezzo altissimo in termini di fatturato e di ritorno degli investimenti effettuati.

Nonostante tale eccezionale situazione, i gestori della Distribuzione Automatica si trovano a dover adempiere alle richieste di Enti ed Amministrazioni pubbliche di versamento del canone di concessione per l’installazione dei distributori nel suo intero importo, nonché a sopportare costi strutturali fissi ed invariati.

Il danno è quindi duplice: le gestioni subiscono, infatti, da un lato un danno da lucro cessante, dovuto al calo degli introiti in connessione con la diminuzione delle consumazioni, dall’altro un danno emergente, costituito dall’invariabilità dei costi fissi.

La riduzione degli incassi delle macchine e, di conseguenza, del fatturato complessivo generato dalla concessione, oltre alla sopra detta immodificabilità dei costi fissi, è oggi causa di gravi conseguenze sull’equilibrio economico-finanziario delle concessioni in essere, con ricadute dirette sul “rischio” assunto dalle gestioni del Vending.

IL QUADRO NORMATIVO

Il tratto distintivo dei contratti di concessione è la sussistenza del “rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito all’operatore economico” (art. 3, lett. zz, d.lgs. 50/2016).

L’obbligatoria predisposizione di un piano economico-finanziario da parte del concessionario è, infatti, volta a verificare la “contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria. Per convenienza economica si intende la capacità del progetto di creare valore nell’arco dell’efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato per il capitale investito; per sostenibilità finanziaria si intende la capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento” (art. 3, d.lgs. 50/2016).

Sebbene, dunque, il concessionario assuma su di sé il rischio della gestione, il rapporto in essere deve tuttavia rimanere in equilibrio per tutta la sua durata.

A questo fine, l’art. 182 del Codice dei contratti pubblici stabilisce che sono ammessi interventi per riequilibrare le originarie condizioni economiche e finanziarie della concessione, anche in corso di affidamento, ogniqualvolta eventi sopravvenuti e non imputabili all’operatore abbiano alterato l’equilibrio iniziale.

Dato quanto sopra, può affermarsi che il rischio di impresa è allocato in capo al gestore, fintanto che eventi straordinari incidenti sulla sostenibilità della concessione già affidata non rendano doverosa la revisione (o almeno l’avvio di un procedimento di revisione) del piano economico-finanziario, con la finalità di assorbire eventuali perdite di gestione, ovvero mancati recuperi degli investimenti, derivanti da fattori imprevedibili.

Anche l’art. 165, comma 6, del Codice dei contratti pubblici disciplina le ipotesi di disequilibrio, stabilendo che: “Il verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio”.

La giurisprudenza amministrativa conferma quanto sopra, affermando che “La redditività, per il concessionario, dell’attività convenuta con il concedente, proprio perché dipendente da canoni, prezzi o tariffe praticate nei confronti degli utenti del servizio, dipende inevitabilmente dalla curva della domanda del servizio proveniente dagli utenti e, dunque, è intrinsecamente esposta alle dinamiche del mercato.

Tradizionalmente, infatti, quello di concessione si configura come un rapporto trilaterale nel quale, accanto al rapporto tra Amministrazione concedente e concessionario, si colloca il “rapporto” del concessionario con la massa degli utenti che possono fruire del servizio, pagando un certo corrispettivo, mediante il quale il concessionario remunera i costi sostenuti per erogare il servizio stesso. Pertanto, la concessione di un servizio non può prescindere dal “rischio operativo” che si configura, in gran parte dei casi (e certamente nel caso in esame), come “rischio di domanda”, il quale è legato ai diversi e oscillanti volumi di domanda provenienti dagli utenti, dai quali dipendono i maggiori o minori flussi di cassa di cui l’impresa può beneficiare” (da ultimo, TAR Lazio, Roma, Sez. III, 18 marzo 2020, n. 3371).

Nello stesso senso si è espressa anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione, la quale ha chiarito che l’articolo 182, comma 3, d.lgs. 50/2016, si applica anche alla revisione del PEF (Piano Economico-Finanziario) nell’ambito di contratti di concessione previsti dall’articolo 165, comma 6, e che “tra gli eventi non imputabili all’operatore economico che danno diritto a una revisione del PEF rientrano gli eventi di forza maggiore tali da rendere oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso, in tutto o in parte, l’adempimento delle obbligazioni contrattuali”. Tra questi, l’ANAC ha indicato proprio le epidemie e contagi” (cfr. Linee Guida n. 9 di attuazione del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, approvate dal Consiglio dell’Autorità con Delibera n. 318 del 28 marzo 2018).

L’art. 28 bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n.34 (Decreto rilancio), convertito con legge 17 luglio 2020, n.77, contiene “Disposizioni in materia di concessioni per il servizio di ristoro tramite distributori automatici” e stabilisce che: “In caso di contratti di appalto e di concessione che prevedono la corresponsione di un canone a favore dell’appaltante o del concedente e che hanno come oggetto il servizio di somministrazione di alimenti e bevande mediante distributori automatici presso gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, le università e gli uffici e le amministrazioni pubblici, qualora i relativi dati trasmessi all’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, e dei relativi decreti, disposizioni e provvedimenti attuativi, mostrino un calo del fatturato conseguito dal concessionario per i singoli mesi interessati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 superiore al 33%, le amministrazioni concedenti attivano la procedura di revisione del piano economico-finanziario prevista dall’articolo 165, comma 6, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50, al fine di rideterminare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e per il solo periodo interessato dalla citata emergenza, le condizioni di equilibrio economico delle singole concessioni”.

 

LA REVISIONE DEL CANONE

In applicazione dei principi generali che governano ogni rapporto contrattuale, nonché, a fortiori, della normativa di cui all’art. 165 del Codice dei contratti pubblici, è di tutta evidenza che l’emergenza epidemiologica da COVID-19 rappresenta un evento straordinario e imprevedibile, del tutto estraneo alla sfera di controllo delle parti, che sta determinando un evidente nocumento – in termini di danno emergente e lucro cessante – per moltissimi gestori.

In presenza di un calo tangibile del fatturato (non inferiore al 15%-20%), sussistono dunque, ai sensi dell’art. 165, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016, le condizioni affinché possa essere richiesto l’avvio del procedimento di revisione delle condizioni contrattuali vigenti, così da ristabilire l’equilibrio economico e finanziario venuto meno in conseguenza dei recenti fenomeni di sanità pubblica.

L’eventuale diniego della revisione o il silenzio dell’Amministrazione potrà essere impugnato dinanzi al Tar competente.

I CONTRATTI TRA PRIVATI

Anche per quanto concerne i contratti tra privati potrebbe esservi la necessità di un riequilibrio del rapporto economico tra le parti

Pertanto, sia nel caso di riconduzione della fattispecie nell’alveo dell’impossibilità totale o parziale di cui agli artt. 1463 e 1464 c.c., sia che la si voglia ricomprendere nell’ipotesi dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, ex artt. 1467 e 1468 c.c., il risultato sarà, comunque, quello di determinare i presupposti per la rinegoziazione del contratto, al fine della riconduzione del rapporto ad equità, nell’ambito della normale alea contrattuale.

Al riguardo, i canoni di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto impongono di far ricorso, in circostanze quali quelle di specie, ai rimedi manutentivi previsti dalla legge per consentire la vigenza dell’accordo, nonché per permettere alla parte che si trovi a fronteggiare la situazione contingente di eccessiva onerosità e/o impossibilità sopravvenuta di poter comunque adempiere alla prestazione.

I requisiti necessari affinché risulti sussistente l’eccessiva onerosità sopravvenuta sono sostanzialmente due: l’intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto, e la riconducibilità dell’eccessiva onerosità sopravvenuta a eventi straordinari e imprevedibili, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale (cfr. Consiglio di Stato, sent. 3653/2016; in termini, TAR Campania, Salerno, sent. 1316/2015; nonché Cass. civ., sent. 22396/2006).

Avv. Eugenio Tristano

info@studiotristano.com

 

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