Arrivati ormai alla Fase-3 nella gestione dell’emergenza pandemica provocata dal
COVID-19, abbiamo imparato a convivere quotidianamente (almeno i più attenti e virtuosi) con procedure di frequente lavaggio delle mani e periodiche sanificazioni degli ambienti di lavoro.
Fatta salva l’adozione dello smart-working per le attività dove applicabile (fondamentalmente limitato alla sola area amministrativa), tutte le altre aree dell’azienda, dov’è inapplicabile il principio di distanziamento sociale, necessitano perciò dell’uso costante delle mascherine. Prima della pandemia COVID-19, l’uso dei dispositivi delle vie respiratorie era previsto per un numero limitato di attività professionali. La recente emergenza sanitaria le ha rese obbligatorie nella maggior parte degli ambienti di lavoro al chiuso o all’aperto (per le attività di carattere manutentivo e per il rifornimento dei d.a. all’operatore è sempre richiesto l’uso della mascherina per l’ingresso in azienda).
Dalla nostra esperienza sul campo, rileviamo, con l’arrivo delle temperature estive caratterizzate da gran caldo e aumento dell’umidità, un sempre più evidente disagio nell’utilizzo delle mascherine di protezione (chirurgiche e FFP2), considerando che nel mondo del Vending il D.P.I. era riservato alle sole attività di officina e con oltretutto carattere di saltuarietà. E ancora, con l’innalzarsi del disagio termico rileviamo l’uso scorretto o addirittura il mancato utilizzo del previsto D.P.I. delle vie respiratorie progettato per proteggere i lavoratori dall’inalazione di sostanze pericolose come polveri, fibre, fumi, vapori, gas, microrganismi e virus quali appunto il COVID-19.
Dobbiamo infatti ricordare che il ricorso all’impiego dei D.P.I. delle vie respiratorie è previsto quando non è possibile applicare mezzi di protezione collettiva (art.75 del D.Lgs. 81/2008), ovvero misure tecniche, organizzative e procedurali idonee a eliminare l’esposizione dei lavoratori a sostanze pericolose. La scelta del corretto dispositivo dovrebbe avvenire solo dopo il completamento della valutazione dei rischi e dovrebbe tener conto di diversi fattori.
Secondo la UNI EN 529:2006, infatti, accanto agli aspetti connessi alla valutazione dell’adeguatezza (livello di protezione offerto) è necessario tener conto anche degli aspetti connessi alla valutazione dell’idoneità del dispositivo; tra questi sono inclusi fattori ergonomici come, ad esempio, l’aspetto termico, con particolare attenzione all’affaticamento che potrebbe causare il dispositivo di protezione delle vie respiratorie in zone come il viso con notevole discomfort per il lavoratore che lo indossa.
Il discomfort – dovuto all’accumulo di calore percepito sul viso o sulla parte di esso coperto dal facciale – è uno dei motivi di intolleranza per chi lo indossa; prestare attenzione a questa problematica vuol dire ridurre i fattori di non accettabilità del dispositivo ed evitare che il lavoratore decida arbitrariamente di rimuoverlo o di utilizzarlo in maniera inappropriata.
Nell’ambito della letteratura scientifica internazionale alcuni studi hanno evidenziato che il dispositivo di protezione delle vie respiratorie può avere un impatto sulla temperatura del viso o sulla parte di esso coperto dal facciale e un effetto molto minore sulla temperatura interna. Altri studi hanno cercato di correlare il giudizio soggettivo associato al discomfort con la temperatura superficiale del viso sotto la maschera quando il lavoratore indossa e utilizza un tale dispositivo. I risultati ottenuti mostrano che il lavoratore percepisce come calde, e quindi non confortevoli, temperature della pelle del viso sotto la maschera superiori ai 34,5°C.
Un altro fattore che può aumentare la sensazione di discomfort durante l’utilizzo del dispositivo è il cambiamento del modo di respirare. In condizioni di riposo la maggior parte degli adulti ha una respirazione nasale; con l’intensificarsi dell’attività fisica può accadere che la respirazione da nasale diventi oronasale. Questo cambiamento incide sulle componenti degli scambi di calore, in quanto la respirazione oro-nasale prevede una maggiore dispersione del calore verso l’ambiente. L’aria espirata rimane bloccata dal facciale e si percepisce maggiormente il calore a seguito dell’aumentata presenza di vapore acqueo. Infine, non va dimenticato il fattore psicologico, che può avere un impatto indiretto sul carico termico associato all’uso del dispositivo di protezione delle vie respiratorie provocando una sensazione di claustrofobia che, in particolare nei soggetti affetti da disturbi d’ansia, si manifesta con un’elevata frequenza cardiaca e respiratoria, palpitazioni, pressione sanguigna elevata, ecc.
Una sensazione di calore associata a questi eventi può essere dovuta all’aumento dello sforzo respiratorio dovuto ad una maggiore resistenza respiratoria percepita del dispositivo, oppure all’aumento della sudorazione nel microambiente del facciale dovuto allo stress psicologico che potrebbe aumentare la temperatura di quella zona del viso. Un’utile strategia che può essere messa in atto per alleviare l’impatto dell’uso del dispositivo delle vie respiratorie è il raffreddamento del viso, che risulta essere una delle più efficaci, insieme a un’attenta programmazione di pause di recupero e reidratazione durante il lavoro.
È da evidenziare che attività lavorative che in assenza di DPI non presentano particolari criticità di natura ergonomica o termica possono diventare critiche sotto tale aspetto, soprattutto per soggetti particolarmente sensibili. È pertanto indispensabile che l’introduzione di tali dispositivi negli ambienti di lavoro sia sempre accompagnata da un’attenta valutazione dell’accettazione e delle potenziali ricadute sulle condizioni ergonomiche dell’attività lavorativa svolta, prendendo in esame:
l’adattabilità dei DPI alle caratteristiche fisiche e alle condizioni individuali di tutti i lavoratori, con particolare attenzione ai soggetti sensibili;
il comfort termico del DPI, in considerazione della durata dell’impiego e del contesto d’uso.
Sicuramente auspicabile l’istituzione di procedure “ad hoc” relative all’impiego del DPI con l’auspicata collaborazione del Medico Competente (per soggetti quali donne in gravidanza, ipertensione e malattie cardiovascolari, assunzione di psicofarmaci, patologie respiratorie croniche, ecc.) e che prevedano tra l’altro:
graduale adattamento all’impiego del DPI in relazione alla tipologia di attività svolta;
effettuazione di specifiche pause durante il lavoro per la rimozione del DPI e la reidratazione;
individuazione di adeguate aree di riposo al fresco ove togliere il DPI e rinfrescare il viso;
In conclusione, la scelta del corretto dispositivo di protezione non va sottovalutato e deve avvenire solo a seguito di un’attenta valutazione dei rischi. Dobbiamo essere consapevoli che l’utilizzo del dispositivo può determinare un accumulo di calore percepito sul viso e causare disagi di varia natura. Dobbiamo tenere presente che attività lavorative generalmente non considerate critiche sotto il profilo microclimatico possono diventare tali se è richiesto l’impiego protratto e continuativo di DPI delle vie respiratorie, soprattutto in ambienti indoor privi di condizionamento adeguato, in caso di ondate di calore o in presenza di condizioni di suscettibilità individuale.
La formazione nell’uso corretto dei D.P.I. assume estrema importanza al fine del corretto impiego degli stessi e per migliorarne l’accettabilità e l’adattabilità alle condizioni individuali di ciascun lavoratore.
Si richiama, in ultimo, a quanto espresso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2020) in merito agli aspetti di criticità legati all’impiego di DPI facciali per la popolazione generale, che è sempre opportuno siano tenuti sotto stretto controllo negli ambienti di lavoro, nel contesto della valutazione dei rischi:
S.A.I. CONSULTING S.a.s.
Sicurezza Lavoro&Ambiente
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Bruno Scacchi