La notizia dell’ingresso nella Distribuzione Automatica di un imprenditore affermato e conosciuto al grande pubblico come Matteo Marzotto – in qualità di azionista e presidente di Fas International – fu accolto a fine 2019 come una ventata di ottimismo e orgoglio da parte di un settore che ha bisogno di grandi manager e volti noti e importanti per uscire da una nicchia in cui sta sempre più stretto.
Sono trascorsi sei mesi dall’intervista rilasciata da Marzotto a “Vending Magazine”. Un’eternità alla luce di quanto poi accaduto. La pandemia di Coronavirus è stata uno tsunami che ha spazzato via certezze e scompaginato il mondo. Ascoltare l’analisi di Marzotto – opinion leader e ospite sempre gradito e ascoltato in diversi programmi televisivi – significa farsi un’idea globale di dove sta andando non solo la Distribuzione Automatica ma il nostro sistema Paese.
Abbiamo seguito le indicazioni dei vari DPCM, chiudendo lo stabilimento dal 17 marzo al 3 maggio. Non siamo, però, “scappati” dalla clientela. Con il lavoro da remoto di commerciali e tecnici abbiamo sempre fornito risposte puntuali alle varie richieste. Il management si è ritrovato con cadenza settimanale in sede per studiare strategie e pianificare la ripresa. Tutto si è svolto in serenità. Le decisioni sono state prese in modo collegiale con i sindacati. Siamo ricorsi agli ammortizzatori sociali e benchè in Veneto l’erogazione della cassa integrazione sia stata più veloce che altrove, Fas ha deciso preventivamente di anticiparla ai suoi dipendenti.
Nella mia vasta esperienza di imprenditore e manager raramente ho trovato un clima così collaborativo tra proprietà e maestranze come in Fas. E di ciò va dato merito alle qualità umane della famiglia Adriani.
Abbiamo voluto confermare per intero il premio di produttività del 2019, addirittura in misura maggiore rispetto al dettaglio dei risultati, pur a fronte dell’attuale forte contrazione delle vendite dovuta al virus.
Abbiamo ripreso gradualmente. All’inizio con tre giorni alla settimana a pieno regime, da giugno su 5 giorni. Abbiamo sensibilizzato i dipendenti verso i protocolli di sicurezza stabiliti di concerto con i sindacati. La vigilanza è massima. La sanificazione degli ambienti di lavoro è costante e certificata sia nelle procedure che nei prodotti usati. Tutti gli operai sono dotati di un kit anti-Covid con mascherine e disinfettanti. Enti esterni che hanno effettuato i controlli ci hanno promossi a pieni voti.
I lavoratori hanno dimostrato grande senso di responsabilità pur in una fase, anche per loro, di grande preoccupazione per la crisi economica.
Ne abbiamo fatto uso soprattutto nel periodo del picco dei contagi, quando avevamo dovuto interrompere l’attività. In un contesto di estrema gravità sanitaria ha svolto un ruolo di facilitatore del lavoro. Ma mi preme sottolineare che la definizione di smart working, cosi come è intesa dall’opinione pubblica, è totalmente fuori luogo.
Si deve parlare di “home working”, che di smart ha ben poco. In una situazione straordinaria le aziende si sono trovate a fare di necessità virtù e hanno chiesto ai collaboratori di continuare a portare avanti il lavoro da casa con uno smartphone, un pc e una linea internet più o meno veloce e munita di giga.
Lo smart working, che in realtà viene usato nelle giuste modalità da pochissime aziende al mondo, implica competenze, funzioni e processi organizzativi specifici. Banalizzo la cosa: a chi parla di un aumento di produttività da parte dei 4 milioni circa di impiegati pubblici che operano dalle loro abitazioni chiedo: “Ci sono dati, ricerche e analisi che testimoniano effettivamente ciò?”. La risposta è no. Il processo di valutazione di un dipendente da remoto è molto complesso.
Ha il mio pieno sostegno e anche la mia solidarietà di fronte agli attacchi ideologici che ha dovuto subire per queste sue affermazioni da uomo d’azienda di buon senso.
La vera produttività è stare in un ufficio pulito e igienizzato e dotato di tutti i mezzi e gli strumenti necessari per svolgere al meglio la propria mansione. Da casa si lavora poco e male. È stato giusto fermarci quando il Covid dilagava, ora bisogna tornare a produrre.
Sento esimi analisti affermare che il nuovo modello post-Covid sarà focalizzato su “lavorare di meno”. Mi suona strano, perché l’Italia quando è ripartita dopo grandi crisi lo ha fatto sempre lavorando di più e meglio.
Si possono trovare della forme “ibride” tra casa e ufficio, ma anche le retribuzioni andranno calmierate di conseguenza. Lo dico soprattutto per il pubblico impiego che non ha perso un euro di stipendio durante il lockdown e ha il posto fisso garantito a prescindere.
Lo so bene. La Distribuzione Automatica vive di consumazioni sui luoghi di lavoro. Senza persone in ufficio e in fabbrica c’è il tracollo dei fatturati. Il Governo deve pensare a tutte le categorie produttive di questo Paese.
Abbiamo vissuto un’emergenza sanitaria drammatica; quindi non c’era niente di facile e non mi piace criticare ex post. Dico solo che alcuni decreti del Governo contenevano degli errori, anche comprensibili, a cui non si è voluto porre rimedio subito. Si è ponderato poco prima di agire. Penso al Vending. Si è generata una grande confusione nell’identificare in modo corretto i codici Ateco a cui consentire o meno di proseguire l’attività. Il nostro settore è stato costretto a fermarsi, poi a ripartire, quindi di nuovo a bloccarsi senza una logica. Il servizio automatico è essenziale per chi lavora. Lo è molto di più di altri comparti che, invece, hanno potuto continuare a operare senza problemi.
I punti break sono perfettamente in grado di rispettare il distanziamento sociale. Impendendo, in certi contesti, ai gestori di fare il loro lavoro si è creato un disservizio. Meritiamo più rispetto.
Siamo vicini alle elezioni amministrative di fine settembre. La politica si è parametrata su quella deadline e si muove per slogan e promesse. Io sono un imprenditore e guardo in faccia la realtà. Con due mesi di lockdown abbiamo avuto una perdita media del 17% di fatturato rispetto al budget di inizio anno. La ripartenza è lenta. Una previsione credibile, ascoltando il tessuto produttivo del Paese, è di un deficit di fatturato a fine 2020 intorno al 30-35%. Tutto al lordo di una possibile nuova ondata di contagi.
Il Governo deve essere onesto: senza l’estensione degli ammortizzatori c’è il serio rischio che le imprese debbano fare scelte sofferte ma ineluttabili sul taglio del personale. Stessa cosa per le banche. Il loro modo di agire nell’erogazione del credito è vergognoso: finanziano solo chi vogliono. Ricordiamoci bene che l’impresa ha storicamente svolto in Italia il ruolo di stabilizzatore sociale. I lavoratori sono il nostro bene più prezioso.
Che i soldi stanziati per le aziende non siano più prestiti con interesse. A mercato ristabilito, e io sono certo che ciò accadrà, lo Stato non chiederà indietro i finanziamenti all’imprenditore ma lo obbligherà ad assumere, nella stessa misura percentuale, dei giovani.
L’autunno sarà cruciale per la tenuta del Paese. Bisognerà mettere in conto una possibile nuova recrudescenza del virus, procedendo a micro chiusure preventive in caso di focolai sospetti, ma un altro lockdown l’Italia non lo potrà reggere.
E poi c’è la questione degli spostamenti internazionali che vanno tracciati e controllati ma non impediti. L’industria italiana vive di export, altrimenti torneremo alle Città-Stato. Qui si rischia grosso tutti quanti.
Sono un europeista convinto, ma l’Europa deve cambiare passo. È stato immorale verso le persone che stanno soffrendo mandare avanti le negoziazioni di 10 giorni in 10 giorni, senza un’intesa definitiva. Penso anche ai Paesi “frugali”. A chi interessa impoverire Italia, Spagna, Francia e Germania? Polonia e Ungheria possono sopravvivere senza l’asse tedesco? No. L’Olanda ha un ottimo bilancio per la sua politica fiscale e tributaria disinvolta, ma può reggere senza un’Europa coesa? No.
Conviene a tutti che l’Italia sia in buona salute. Ho sempre creduto che,
tirando le somme, l’UE e il Fondo Monetario Internazionale non ci avrebbero lasciato per strada. Ed infatti è stato mobilitato il più poderoso movimento di soldi nella storia dell’Europa che l’Italia dovrà dimostrare, però, di saper cogliere e sfruttare attuando delle riforme serie e durature.
Molte cose che ci siamo detti coinvolgono anche la Distribuzione Automatica. Nello specifico, io sono entrato in Fas il 19 dicembre 2019. Il mio “semestre bianco”, per impratichirmi con questo mercato, è finito da poco. L’automatico ha un potenziale straordinario ma ancora inespresso in larga parte. Alle aziende oggi si chiede flessibilità, aggiornamento e innovazione. Tutte cose che il Vending ha “in pancia” ma che deve far emergere all’esterno. Non solo cibi e bevande. Le abitudini della gente stanno cambiando, i luoghi di lavoro non saranno più quelli di prima.
Il Vending è percepito come un servizio utile ma solo parzialmente di qualità. Se una miscela è buona e viene tarata nel giusto modo, le macchine oggi in commercio sono in grado di erogare un caffè migliore di quello del bar. Trovo insopportabile la frase “sembra quello della macchinetta”, nel commentare un caffè cattivo bevuto al bar o al ristorante. È un insulto alla tecnologia che c’è dietro alle nostre macchine. Ma siamo noi a dover far cambiare idea alla gente.
No, tutta la filiera. Certamente la capillarità del servizio garantito dai gestori nelle locazioni, il “cosiddetto ultimo miglio”, è la chiave per valorizzare la Distribuzione Automatica tra gli utenti finali.
L’investimento per mettere in sicurezza le nostre aziende non può più passare solo dalla battaglie dei costi e dei prezzi. Non basta tagliare. Ti salvi nella contingenza ma non ti preservi per il futuro. Mi rendo conto che non è facile, ma lo sforzo deve essere comune.
Con un ruolo proattivo verso i clienti. Siamo forti storicamente sul “freddo” ma credo molto anche nelle nostre performance nel “caldo”. Siamo bravi anche a fare i caffè e i cappuccini. Il mercato è fermo, molti uffici sono ancora chiusi ma il mercato ha bisogno di segnali.
È un’opportunità di integrazione tecnologica e di servizi che abbiamo colto al volo e che potrà diventare uno standard di settore. La soluzione messa a punto da Satispay è attivabile gratuitamente su qualsiasi macchina FAS dotata di tablet, per rendere smart tutti i distributori automatici e consentire al pubblico di pagare snack, bibite, caffè e molti altri prodotti via app senza bisogno di monetine, contanti o carte di credito, in maniera semplice e veloce.
Il Vending dopo il lockdown non sarà più lo stesso di prima. Bisogna muoversi per tempo.
Sono ancora sconvolto da quanto vissuto. Molte certezze che credevo di avere si sono rivelate fallaci. Parlo del modernismo, una dottrina che sembrava essere diventata un atto di fede e che invece è stata neutralizzata da un microscopico virus.
Il mito dell’uomo al centro di tutto è definitivamente tramontato. Ognuno di noi non è il tutto ma una semplice particella dell’insieme. Il Covid non va, secondo me, circoscritto a un mero evento biologico. Penso ci abbia posto tanti interrogativi spirituali. Nessuno si salva da solo. Lo credo come uomo e come cristiano.
SATISPAY SALE A BORDO DEI DISTRIBUTORI AUTOMATICI
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di Enrico Capello