L’intelligenza artificiale non sostituirà solo taxisti o camionisti, caccerà scienziati dai laboratori, infermieri dagli ospedali, docenti e ricercatori dalle università, ecc.
Il latte versato dei pastori sardi a caccia di sussidi, i gilet gialli contro le tasse anti inquinamento, le speranze dei minatori della Virginia di tornare al lavoro col carbone sono segni di questo disagio. Ma la lettura di un mondo spaccato tra nuovi poveri messi alle corde da commercio internazionale e robot scintillanti tramonta davanti a un futuro di innovazione turbolento. In un suo splendido libro, “The Globotics Upheaval: Globalization, Robotics, and the Future of Work” (Lo squasso della Globotica: globalizzazione, robotica e futuro del lavoro), l’economista del Graduate Institute di Ginevra, Richard Baldwin, ci offre un quadro diverso e inquietante.
Globotica è per Baldwin un neologismo che fonde l’effetto di Globalizzazione e Robotica. Tanti posti di lavoro voleranno all’estero perché sarà più economico far leggere le radiografie a Bangalore, India, che non in Italia, ma altrettanti sfumeranno perché i robot sostituiranno esseri umani. Ma, e qui è la novità dello studio di Baldwin, se la prima ondata di automazione, 1980-2000, ha colpito operai, manovali – la classe degli addetti a mansioni semplici e riproducibili – la seconda, aperta una decina di anni fa con il ritorno dell’Intelligenza Artificiale (AI) e dei sistemi di machine learning, colpirà l’orgoglioso ceto tecnologico che ama Google, non va in giro senza smartphone e computer portatile, ha non solo la laurea ma anche un master.
“Avere come rivale un robot programmato a tavolino o un telemigrante (lavoratori che agiscono in teleconferenza da Paesi lontani, ndr) sembrerà una mostruosa ingiustizia. Quando i colletti bianchi e gli impiegati condivideranno la pena delle tute blu operaie, una forma di reazione sarà inevitabile”, osserva Baldwin. E il suo libro si affronta come un affascinante Centauro, da una parte stregati per i progressi fantastici dell’Intelligenza Artificiale, dall’altra trepidi per l’impatto sociale che avranno. Come non ammirare Amelia, robot dal viso di elegante bionda manager scandinava, che manda a memoria un manuale di 300 pagine in 30 secondi, risponde a migliaia di telefonate in contemporanea, dialogando cortese e forbita in 20 diverse lingue?
Il call center affidato ad Amelia dalle assicurazioni Allstate ha ridotto le chiamate medie da 4,6 minuti a 4,2 minuti, risparmio formidabile, e i clienti preferiscono lei ai telefonisti in carne e ossa. Perché Amelia, creata dall’ingegnere Chetan Dube, come i robot e gli algoritmi di machine learning, più opera e più dati assorbe meglio impara nuove mansioni e accumula esperienza, venendo dunque “assunta – scrive Baldwin – da 20 delle principali banche, assicurazioni, aziende di comunicazione, media e sanità del mondo”. Chi si arrabbia, urla, impreca e sbatte il telefono ad Amelia non la vedrà mai perdere l’aplomb mentre lei, serafica, aggiorna algoritmo e base dati.
In un altro saggio da meditare, “AI Superpowers: China, Silicon Valley and the New World Order”, il tecnologo Kai-Fu Lee ci ammonisce: “Davanti a noi incombono decenni di crisi per disoccupazione e disuguaglianza scatenate dall’Intelligenza Artificiale. Le nuove tecnologie spazzeranno via un’ampia percentuale dei posti di lavoro, aumentando drammaticamente lo scarto ricchi/poveri e sfidando la dignità umana di noi tutti. Questa rottura senza precedenti nella storia non richiede alcuna nuova scoperta scientifica AI, basta applicare le tecnologie esistenti a nuovi problemi. A essere colpiti stavolta, dopo gli operai di fabbrica, saranno impiegati, tecnici, professionisti e manager”.
In un recente seminario all’Università Luiss, Enrico Cereda, presidente IBM Italia, e l’informatico Pino Siciliano hanno provato a immaginare come gli algoritmi possano lavorare per noi, non contro. Le soluzioni offerte vedono impegnati insieme politici, accademici, aziende e cittadini. Ma questa coalizione deve ancora formarsi e trovare le sue regole, mentre Baldwin annota i dati di una ricerca dell’istituto Forrester: entro il 2026 il 16% dei posti di lavoro in America sarà distrutto dall’Intelligenza Artificiale, che creerà occupazione invece tra scienziati dei dati, specialisti di robotica e creatori di contenuti. Saldo negativo entro il 2025: -7%. Assisteremo alla rivolta anti robot per allora?
Fonte: “La Stampa” del 1° marzo 2019 – Gianni Riotta