Videosorveglianza: rischia grosso l’imprenditore inadempiente

Installare i sistemi con fini non leciti e trattare i dati dei propri dipendenti in modo da violarne l’integrità e la privacy comporta sanzioni elevate oltre a un problema di reputazione aziendale. Attenzione, dunque, alla corretta prassi

Il mondo del Vending, per necessità contingenti la sicurezza dei propri beni, ha spesso necessità di adottare sistemi di videosorveglianza sia nelle aree esterne dell’azienda che in particolari ambiti interni. Come ormai ben noto, tali installazioni devono rispondere a specifici requisiti che riteniamo utile riportare in sintesi. La procedura è piuttosto semplice e vale, indubbiamente, la pena seguirla passo dopo passo invece di pentirsi dopo di non averlo fatto.

Un’azienda che vuole installare telecamere di sorveglianza sul posto di lavoro, quindi prima di mettere in funzione l’impianto, deve:

• Informare i lavoratori interessati fornendo un’informativa privacy.

• Nominare un responsabile alla gestione dei dati registrati.

• Posizionare le telecamere nelle zone a rischio evitando di riprendere in maniera unidirezionale i lavoratori.

• Affiggere dei cartelli visibili che informino i dipendenti ed eventuali clienti, ospiti o visitatori della presenza dell’impianto di videosorveglianza.

• Conservare le immagini per un tempo massimo di 24-48 ore.

• Formare il personale addetto alla videosorveglianza.

Predisporre le misure minime di sicurezza.

Predisporre misure idonee di sicurezza atte a garantire l’accesso alle immagini solo al personale autorizzato.

Nel caso in cui le videocamere riprendano uno o più dipendenti mentre lavorano (è escluso il caso in cui siano ripresi mentre entrano o escono dal luogo di lavoro) si deve procedere ad un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, con la DPL (Direzione Provinciale del Lavoro) e ottenere l’autorizzazione all’installazione dei dispositivi elettronici di controllo a distanza.

LA CASSAZIONE È LAPIDARIA

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4331, ha ribadito che l’installazione di una telecamera sul posto di lavoro diretta verso il luogo in cui i dipendenti svolgono le proprie mansioni, o su spazi dove essi hanno accesso anche sporadicamente, deve essere preventivamente autorizzata dall’Ispettorato dal Lavoro o deve essere autorizzata da un particolare accordo con i sindacati. La mancanza di queste premesse comporta la responsabilità penale del datore di lavoro.

Le telecamere possono, quindi, essere montate e installate solo dopo la ricezione dell’autorizzazione e, la presenza dell’impianto di videosorveglianza, per quanto spento, necessita di previa approvazione al fine di tutelare la privacy dei lavoratori. Il mancato rispetto delle procedure previste dal Codice in materia di protezione dei dati personali – installare i sistemi con fini non leciti e trattare i dati dei propri dipendenti in modo da violarne l’integrità e la privacy – prevede sanzioni decisamente elevate oltre a un evidente problema di reputazione aziendale.

Molte aziende, interpretando in modo errato il testo di legge, ritengono che il Jobs Act abbia eliminato questo tipo di obbligo. In realtà, il Jobs Act da un lato sottolinea l’importanza di ottenere un accordo sindacale preventivo nel caso in cui vengano utilizzati strumenti di controllo “pericolosi”, dall’altro si adegua all’evoluzione tecnologica, che è ormai entrata a far parte delle nostre vite a livello quotidiano, escludendo dalla lista degli strumenti che necessitano di accordo alcuni dispositivi come pc, smartphone, tablet e rilevatori di entrata e di uscita. Il Jobs Act conferma, comunque, un principio imprescindibile: l’uso di impianti audiovisivi a fini di controllo dei lavoratori non è consentito. Gli strumenti di controllo a distanza, infatti, non servono per avere sempre un terzo occhio aperto sui dipendenti, ma devono avere finalità ben precise, come la tutela dei beni aziendali, la sicurezza del lavoro o specifiche esigenze lavorative. Gli strumenti che invece servono al dipendente per svolgere l’attività lavorativa (smartphone, tablet, ecc.) sono esenti da autorizzazione e possono essere installati saltando questo tipo di procedura. I dati raccolti in modo regolare mediante strumenti di controllo a distanza possono essere utilizzati a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro e quindi anche a fini disciplinari. Va da sé che ai lavoratori debba essere fornita completa informativa circa l’esistenza di tali strumenti e la modalità di utilizzo.

COME  FUNZIONANO LE COSE

Una interessante riflessione ci viene fornita dalla lettura della risposta fornita mediante Interpello n. 3/2019 al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma – ai sensi dell’articolo 9 del d.lgs. n. 124/2004 – in merito alla configurabilità della fattispecie del silenzio assenso con riferimento alla richiesta di autorizzazione all’installazione e utilizzo degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti di cui all’attuale articolo 4, comma 1, della legge 20 maggio 1970, n. 300, in considerazione delle disposizioni della legge n. 241/1990 che dispongono che il silenzio dell’amministrazione competente equivalga ad accoglimento della domanda. La formulazione della norma affida, in primis, a un accordo tra la parte datoriale e le rappresentanze sindacali la possibilità di impiego degli impianti e degli altri strumenti che consentano anche il controllo dell’attività dei lavoratori. In mancanza di accordo, l’installazione è subordinata all’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro. Alla luce di quanto evidenziato, con riferimento ai procedimenti attivabili mediante la presentazione dell’istanza di cui all’articolo 4, comma 1, della legge n. 300 del 1970 e successive modificazioni non è, quindi, configurabile l’istituto del silenzio-assenso, occorrendo l’emanazione di un provvedimento espresso di accoglimento ovvero di rigetto della relativa istanza.

ALCUNI CASI PRATICI

Valutate le diverse opzioni per l’installazione e la gestione del sistema di videosorveglianza, vediamo ora qualche esempio pratico, frutto della nostra esperienza professionale presso diverse realtà aziendali in ambito nazionale.

Domanda: Ho agito correttamente nella mia azienda installando una serie di videocamere – perimetrali esterne all’edificio ed interne nei reparti di produzioni e negli uffici – adibite al monitoraggio di tutto l’ambiente lavorativo 24 su 24 ore e 7 su 7 giorni?

RISPOSTA: Bisogna innanzitutto sottolineare che le novità introdotte dal Jobs Act limitano le possibilità di videosorveglianza da parte del datore di lavoro alle sole ipotesi in cui ciò si renda necessario per esigenze organizzative e produttive, legate alla sicurezza del lavoro o per la tutela del patrimonio aziendale, limitatamente ai luoghi ove si svolgono le attività lavorative. Per quanto riguarda, invece, le telecamere esterne, queste rientrano nel caso di salvaguardia del patrimonio aziendale e ne è concessa l’installazione anche senza autorizzazione da parte della DTL (Direzione Territoriale del Lavoro).

DOMANDA: È necessario un accordo sindacale per l’installazione di una videocamera posta all’ingresso del luogo di lavoro (non sul badge ma solo su uno degli accessi) finalizzata alla tutela del patrimonio?

RISPOSTA: L’accordo sindacale è necessario solamente nel momento in cui la telecamera dovesse riprendere i dipendenti durante lo svolgimento delle loro mansioni (anche se limitatamente durante la giornata).

Domanda: Vorrei installare una telecamera nella parte esterna destinata al parcheggio degli automezzi e alle operazioni di carico e scarico merci per verificare la fondatezza degli allarmi che ricevo nei periodi di chiusura. Come posso procedere?

RISPOSTA: La prima valutazione da fare è se la telecamera possa o meno inquadrare i lavoratori durante lo svolgimento della loro mansione. In cado di risposta affermativa, prima di installare le telecamere sarà necessario fare richiesta alla DTL (Direzione Territoriale del Lavoro) e poi procedere con le dovute segnalazioni ai dipendenti. Non comporta grosse differenze il fatto che la telecamera venga attivata solo durante i periodi di chiusura o in assenza di personale perché la sua presenza rende, comunque, possibili le riprese in qualsiasi momento.

DOMANDA: Se il dipendente riceve una sanzione disciplinare basata su una videoregistrazione può chiedere al datore di lavoro di visionarla?

RISPOSTA: Qualora il datore di lavoro abbia rispettato tutte le indicazioni normative per l’installazione delle telecamere e sulla base delle immagini registrate abbia erogato al personale una sanzione disciplinare, il dipendente, in quanto interessato, ha il diritto di accedere ai dati che lo riguardano e di verificare le finalità e la logica del trattamento ai sensi dell’art. 7 del Codice Privacy (così come enunciato dal Garante Privacy nel suo provvedimento in materia di videosorveglianza). In ultima istanza si può valutare di presentare un reclamo al Garante della Privacy.

DOMANDA: Siamo una piccola
realtà aziendale costituita dai soli tre soci che si avvalgono della collaborazione di due artigiani. Come si applica la richiesta di autorizzazione alla commissione interna?

RISPOSTA: Assente la rappresentanza sindacale interna, risulta comunque necessario predisporre una richiesta di autorizzazione alla Direzione Provinciale del Lavoro. Tale richiesta, corredata da tutta la documentazione del caso (planimetrie, posizione telecamere, angolo di visuale, modalità di registrazione e di conservazione delle immagini, ecc.), viene valutata dalla Direzione Provinciale del Lavoro che può:

Ritenere la documentazione sufficiente e autorizzare le telecamere.

Chiedere documentazione integrativa prima di autorizzare.

Effettuare un sopralluogo con suoi operatori per verificare quanto dichiarato prima di rilasciare l’autorizzazione.

PER CONCLUDERE…

Si ricorda che è possibile installare le telecamere solo dopo l’autorizzazione della Direzione Provinciale del Lavoro e non prima, anche se si installano e si tengono spente.

L’assenza della prevista autorizzazione, ai sensi dell’art. 23 comma 1 D.Lgs. 151/2015, art. 38 L.300/1970, artt. 114 e 171 D.Lgs. 196/2003, comporta una sanzione, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, da €. 154 a €. 1.549 o arresto da 15 giorni a 1 anno.

 

Bruno Scacchi

S.A.I. CONSULTING S.a.s.

Sicurezza Lavoro&Ambiente

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