In seguito all’aumento della concorrenza, all’iperframmentazione dei mercati e ai cambiamenti nei modi di consumare, e quindi del consumatore stesso, il marketing ha dirottato buona parte della sua attenzione dal prodotto al cliente. Nel momento in cui il cliente non è più “preda” ma “cacciatore”, per riuscire a “prenderlo” non sono più fruttuosi i continui “bombardamenti a tappeto” e gli attacchi frontali tanto usati in passato. In sintesi, le aziende hanno dovuto stravolgere le loro strategie, passando “dall’arte della guerra all’arte dei valori e dalla seduzione alla soddisfazione” della clientela. Ma questo passaggio dall’attacco alla condivisione di esperienze e interessi non è stato affatto semplice, e per molte imprese non si è ancora del tutto compiuto.
Philip Kotler, il guru riconosciuto a livello mondiale come il più grande esperto di marketing, ideatore della famosissima teorizzazione sulle quattro “P” del marketing classico – product, price, place e promotion – ama spesso ribadire che questo concetto, da lui stesso coniato, ormai ha fatto il suo tempo.
Il marketing “non aiuta più le vendite ma la produzione nel creare, distribuire e consegnare quello che serve al cliente e che il cliente vuole”. Il marketing non è più “l’arte di trovare modi intelligenti per sbarazzarsi di quello che si produce, (piuttosto) ma è l’arte di creare un autentico valore per il cliente”. Il cliente non è più un soggetto “di passaggio” a cui rifilare la merce, ma un “consorte” con il quale instaurare una relazione duratura. Gradualmente, le aziende stanno abbandonando la tradizionale concezione industriale del “make and sell” (produci e vendi) per accogliere il nuovo dictat del “sense and respond” (ascolta e produci).
Lo scorso ottobre a Milano, durante l’annuale Philip Kotler Marketing Forum (PKMF), lo studioso, classe 1931, originario di Chicago, ha sedotto il pubblico con oltre due ore di lezione su come, in futuro, il marketing, insieme all’innovazione, rappresenterà l’unica via possibile per la crescita del business, soprattutto nell’èra digitale della new economy.
La centralità assunta oggi dal consumatore, in un ambiente molto competitivo, ha spinto il marketing a essergli sempre più vicino, per mantenere un rapporto di empatia in grado di generare risposte coerenti ai suoi nuovi bisogni. Il tema del lean marketing risponde, infatti, alla necessità di garantire la sostenibilità dei processi di produzione, ma forse ancora di più a una richiesta di trasparenza, di autenticità e di schiettezza che nasce dal rapporto, sempre più diretto, tra le imprese e le persone attraverso la rete e i social media.
Marketing + innovazione, la formula quindi, secondo Kotler, per la crescita del business. “Il business cresce attraverso il valore e il marketing è quella componente che aiuta a esprimerlo nell’economia”, è la lezione di Kotler sul palco di Milano.
Una formula dove l’innovazione, ha spiegato Kotler, deve essere considerata come disciplina della creatività e deve rappresentare “la capacità di creare qualcosa che abbia un valore per qualcun altro”, mentre il marketing va calato in un contesto aziendale dove si possa modellare una organizzazione basata sul cosiddetto CCDV: create, communicate, deliver, value. Soprattutto sul fronte “value” oggi il CMO (Chief Marketing Officer ndr) dovrebbe lavorare a stretto contatto con il CFO (Chief Financial Officer ndr): cosa che in realtà accade molto raramente”.
La relazione tra CMO e CFO spesso si riduce a un mero “check” nel processo di definizione del prezzo di un prodotto o di un servizio che l’azienda dovrebbe immettere sul mercato, pilastro del modello di marketing basato sulle 4P (Product, Price, Place, Promotion) che però lo stesso Kotler ha definito obsoleto.
“Molte persone pensano che il marketing sia lo strumento di supporto delle vendite, attraverso advertising e promozione – ha spiegato Kotler –. In realtà, il marketing permette di identificare i target e il mercato ed è quella disciplina che attraverso l’analisi e il planning permette di “dare vita” al CCDV, cioè crea, comunica e rende disponibile a una community un valore superiore. Il marketing aiuta l’azienda (non solo le vendite) a scoprire nuove opportunità di mercato e di business, nonché a identificare i bisogni e i desideri insoddisfatti di una determinata clientela”.
Una visione che mette quindi definitivamente in cantina il vecchio modello delle 4P per lasciare spazio alle nuove teorie che vedono il marketing basarsi sui pilastri delle 5C: Customers, Company, Collaborators, Competitors, Context.
“Le aziende devono capire che nella digital èra, nella new economy, anche il marketing deve evolvere partendo dal riconoscere che oggi qualunque tipo di comunicazione, ricerca, acquisto, condivisione passa attraverso uno smartphone – puntializza Kotler – . Le persone sono connesse a livello globale e possono essere influenzate in molti modi differenti, non più solo attraverso l’advertising”.
Per le aziende significa poter accedere a una miriade di dati nuovi di cui un singolo utente lascia traccia attraverso differenti touch point (acquisti con carta di credito, richiesta di informazioni, ricerca sui motori di ricerca online, chat con help desk, conversazioni sui social media, ecc.). “È il momento degli Analytics 2.0 – dice Kotler – grazie ai quali poter collezionare, correlare, analizzare e avere informazioni da grandissime moli di dati in real-time e avviare così strategie di marketing automation che tengano conto del contesto, delle abitudini, delle preferenze e delle conversazioni degli utenti”.
Nella visione di Kotler, il lean marketing si concretizza con l’utilizzo corretto delle tecnologie che permettono di ottimizzare gli sforzi delle attività di marketing massimizzandone i risultati. In particolare, il CMO deve concentrare gli sforzi su questi pilastri:
• mobility: ricordarsi che oggi i consumatori prendono decisioni e compiono azioni attraverso un unico oggetto, lo smartphone;
• dati: non ci si può più limitare ai dati delle vendite, anche se analizzati in tempo reale; i dati a disposizione per prendere decisioni più accurate vanno cercati su tutti i canali che permettono a un brand di comunicare, relazionarsi, interagire e ingaggiare un utente;
• social network e community: sono i tasselli fondamentali per la comprensione dei desideri e delle aspettative dei clienti nonché per la loro fidelizzazione;
• contenuti: l’advertising puro da solo non basta più, serve creare un senso di appartenenza negli utenti attraverso storie ed esperienze inclusive, emozionanti, capaci di attrarre e trattenere a sé un utente nonché mantenere elevata la reputazione del brand;
• marketing automation: la componente tecnologica che meglio esprime il valore del lean marketing e la sua efficacia, strettamente connessa ai dati, senza i quali rimarrebbe un mero strumento e non una strategia di azione);
qualità del servizio: da sempre fondamentale nelle strategie di marketing, con il consumatore al centro diventa elemento differenziante del business.
A proposito del punto 4 sui contenuti, come ha spiegato di recente su “IlSole24Ore” Simone Lovati di Cerved On “le imprese di ogni dimensione e di ogni settore sono in possesso di un’enorme quantità di dati. Gli archivi, più o meno organizzati e aggiornati, costituiscono un patrimonio dal potenziale notevole. Alcune imprese non ne fanno buon uso, altre non ne hanno nemmeno coscienza. Perché? Ci si è occupati di contenitori, meno di contenuti. I contenitori sono migliorati nel tempo, i contenuti si sono accumulati in modo non omogeneo: le guideline di archiviazione sono state poco seguite, l’utilizzo del dato non è mai entrato veramente nella cultura aziendale. Inoltre, a fronte di poca qualità, c’è troppa quantità perché conservare informazioni è un comportamento consolidato: si salvano sempre più numeri, più processi, più dati. A mio avviso questo è un limite che le nostre imprese possono e devono superare.
Avere visione di insieme significa abbattere le barriere dei data silos aziendali. Tutti i dati devono essere parlanti e direttamente connessi con gli ecosistemi digitali per trarre valore dalle interazioni con gli stakeholders.
Il valore del dato non è il numero puro: è la gestione, l’organizzazione, la contestualizzazione, il commento, la validazione e l’abilitazione. PMI e big-enterprise hanno allo stesso modo, pur con le dovute proporzioni, l’opportunità di fare business coi dati in loro possesso.
Oltre l’opportunità c’è la criticità della gestione: l’impianto normativo oggi responsabilizza il manager, perché la conservazione è obbligatoria e la compliance non è eludibile. Nella struttura aziendale chi deve avere questa responsabilità? Il nuovo marketing. Chi vende deve farsi trovare dal consumatore già informato. Non basta raggiungere il consumatore ma occorre prevederne e gestirne l’intenzione. Questo scenario dà una nuova fisionomia e una nuova vita al marketing. Perché il marketing grazie ai dati può diventare la centrale di intelligence che indirizza le scelte dell’impresa”.
Fonti usate per l’articolo: Digital