Prendendo spunto dall’evidenza oggettiva che la plastica costituisce oltre l’80% del totale dei rifiuti marini e che il loro quantitativo è in costante aumento, lo scorso 21 maggio 2019 è stata approvata dal Consiglio UE la ormai nota Direttiva Europea sulle plastiche monouso. La Direttiva entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea.
Tralasciando ogni considerazione in ordine al dato che l’Europa produce soltanto il 15% di tutti i rifiuti plastici totali e che, quindi, le fonti di inquinamento a livello planetario sono da ricercare altrove (il 90% della plastica presente negli Oceani proviene da 10 fiumi extraeuropei), in questa sede andremo ad analizzare i 19 articoli della Direttiva, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro 2 anni.
Il primo dato che emerge dalla lettura del testo è la fissazione di date differenziate per ogni specifica misura.
Un primo gruppo di prodotti in plastica monouso per i quali esistono alternative sul mercato (bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, mescolatori per bevande, aste per palloncini, tazze, contenitori per alimenti e bevande in polistirene espanso e tutti i prodotti in plastica oxodegradabile) sarà vietato entro 2 anni dall’entrata in vigore della Direttiva che è anche, come già detto, il termine per il recepimento della stessa da parte degli Stati membri (Artt. 5 e 17).
Lo stesso termine biennale (artt. 7 e 17) riguarderà la marcatura in caratteri grandi, chiaramente leggibili e indelebili, che comunica ai consumatori una o più delle informazioni seguenti riguardo a:
• le modalità corrette di smaltimento del prodotto dismesso o quelle, per lo stesso prodotto, da evitare;
• l’incidenza negativa dell’abbandono nell’ambiente o di altro smaltimento improprio del prodotto dismesso;
• la presenza di plastica nel prodotto.
Un termine triennale (artt. 6 e 17) si applica all’obbligo di mantenere i tappi e i coperchi attaccati ai contenitori per bevande e ai recipienti per contenere liquidi per la durata dell’uso previsto del prodotto.
La Direttiva pone, infine, l’obiettivo di raccolta separata delle bottiglie di plastica del 90% entro il 2029 (77% entro il 2025) e l’introduzione di prescrizioni progettuali per garantire che i tappi rimangano fissati alle bottiglie, ma anche l’obiettivo di integrare il 25% di plastica riciclata nelle bottiglie in PET a partire dal 2025 e il 30% in tutte le bottiglie di plastica a partire dal 2030.
Entrando nel merito della Direttiva, la prima considerazione da svolgere è che la sua introduzione avrà effetti assai limitati sulla riduzione dell’inquinamento. Le ragioni di tale scetticismo sono da ricercarsi, in primis, come sottolineato in precedenza, nella portata, già oggi assai limitata, dell’inquinamento proveniente dal continente europeo. L’ipotesi di una riduzione, anche sostanziale, dei rifiuti – sempre auspicabile, beninteso – apporterà un beneficio minimo per l’ambiente su scala mondiale.
In secondo luogo, è criticabile la scelta comunitaria di abolire alcuni prodotti e di non bandirne altri. Resteranno, infatti, in uso: i bicchieri di plastica, i sacchi per l’immondizia, i flaconi di shampoo, i tubetti del dentifricio, le cialde del caffè, i flaconi del detersivo, le bottiglie d’acqua minerale, i contenitori per le pastiglie, i cerotti, le buste per alimenti, le confezioni dello yogurt, le bottiglie di ammoniaca e candeggina, etc.
In terzo luogo, sebbene in via programmatica sia previsto nella direttiva il passaggio a un maggiore quantitativo di beni plastici da riciclare, siffatta enunciazione, fatte salve sporadiche eccezioni, non sembra trovare un’applicazione sistematica e convincente. Il testo normativo si presenta, infatti, carente nel delineare e incentivare concretamente il riciclo delle plastiche come mezzo di smaltimento dei rifiuti, nel passaggio a una concezione dell’economia circolare e non più lineare.
Per converso, l’abolizione indiscriminata di quasi tutti i prodotti monouso, che è pari allo 0,6% della plastica prodotta in Europa, in assenza di soluzioni alternative sostenibili economicamente, produrrà gravi danni economici e occupazionali per le oltre 30 imprese italiane del settore e i 3.000 dipendenti, senza, come detto, alcun tangibile impatto sul problema ambientale reale, ovvero la dispersione della plastica nell’ambiente da parte degli utilizzatori finali e la mancanza di una generalizzata politica di riciclo.
In Italia, la situazione si presenta addirittura peggiore.
Pur, infatti, con le incomprensibili incongruenze appena delineate, la disciplina comunitaria prevede il bando dei prodotti sopra accennati entro un termine biennale, puntando (parzialmente) a un aumento dei prodotti riciclati.
Nel nostro Paese, a seguito della discutibile campagna per l’abolizione totale della plastica (c.d Plastic Free Challenge), lanciata nell’agosto dell’anno scorso dal Ministro Sergio Costa, abbiamo assistito (e assistiamo ogni giorno) a un moltiplicarsi di atti, ordinanze, bandi e provvedimenti amministrativi tra i più vari e fantasiosi, al fine di andare “oltre” la Direttiva, con il fine dichiarato di eliminare totalmente – e immediatamente – la plastica o le bevande confezionate in PET dall’elenco dei prodotti utilizzati a diverso titolo dalle Amministrazioni Pubbliche.
Centinaia di comuni (Terni, il primo, ma anche Milano, Ancona, Bergamo, Como, Agrigento, Palermo, Torino, per citarne alcuni) e intere regioni (Friuli Venezia Giulia, Valle D’Aosta) sono arrivati a dichiararsi “plastic free”, vietando unilateralmente l’utilizzazione di plastica monouso all’interno dei locali comunali e delle municipalizzate. Altri comuni (es. San Vito Lo Capo) hanno addirittura proibito del tutto la vendita al pubblico e l’uso di piatti, bicchieri e cotton fioc in materiale plastico non biodegradabile; altri ancora, come il Comune di Napoli sul lungomare, hanno previsto aree “plastic free”, vietando la vendita di bottigliette all’interno di un determinato perimetro.
Oltre ai gravi problemi causati alle imprese direttamente coinvolte nella produzione e lavorazione della plastica, la politica demagogica fondata sulla mera proibizione sta già causando – e causerà sempre di più, in assenza di un cambio di rotta immediato – rilevantissimi danni economici anche in quei settori economici nei quali l’Italia è leader in Europa: dalla Distribuzione Automatica alle acque minerali.
Si reitera, quindi, l’auspicio di una maggiore ponderazione della “questione plastica”, approfittando del biennio concesso agli Stati membri per il recepimento della direttiva, di modo da tenere conto di tutti gli interessi in gioco, al fine di dare piena e reale attuazione ai principi di circolarità dell’economia, nel rispetto dell’attività imprenditoriale e dei migliaia di lavoratori occupati in comparti strategici per il nostro Paese.
Avv. Eugenio Tristano
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