“Un modello di come dovrebbero essere le relazioni tra consumatori e produttori di caffè, in ottica di business ma sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale”. È “Umami Area Honduras” il progetto cui partecipa Andrej Godina, uno dei maggiori esperti di caffè italiani, consulente Authorized Trainer e Master Barista SCA (Specialty Coffee Association).
Una visione, la sua, sviluppata dopo anni di studi e lavoro nel settore (ha un PhD in Scienza, Tecnologia ed Economia nell’Industria del Caffè presso l’Università degli Studi di Trieste). Nel 2018, infatti, Godina ha costituito una società insieme a 27 soci di Honduras, Italia e Germania, rappresentativi di tutta la filiera del caffè – farmer, cooperativa e ditta di export honduregni, importatori europei, trainer, baristi e anche 3 consumatori appassionati di caffè – che hanno acquistato una piantagione esistente a Las Capucas, vicino a Copan nell’Honduras occidentale. Questa piantagione è diventata presto una sorta di campo di ricerca e sperimentazione delle migliori pratiche agricole in vista della riconversione a biologico, anche per dimostrare alla comunità locale che la cosa è possibile soprattutto per vendere a un prezzo superiore il proprio caffè.
Cambiamenti climatici in primo piano
“Il tema sono i cambiamenti climatici: prima generalmente si conosceva la qualità e la quantità del caffè in anticipo perché era sempre simile, ora è incerta – spiega Andrej Godina –. Quest’anno in Honduras c’è stata siccità e la qualità è da verificare. Ma il clima secco ha permesso di lavorare il caffè naturale, cosa che in passato era impossibile, e questo almeno è positivo per la qualità in tazza perché dà più dolcezza e corpo”.
È possibile combattere i cambiamenti climatici? “Stiamo provando nuovi cultivar e tecniche per dare un feedback alla comunità locale. Ad esempio per creare ombra usiamo un’erba – la Brachiaria africana – che garantisce un copertura efficace, ha radici profonde e verticali che non interferiscono con le piante di caffè, cresce velocemente e una volta tagliata aiuta a ricostituire l’humus superficiale del terreno”.
Prezzi non sostenibili
Altro problema è il prezzo: “Quello praticato per l’Arabica della Borsa di New York non basterebbe a coprire le spese di produzione. Non è frutto del rapporto tra domanda e offerta ma è determinato dai futures che sono contratti su caffè non ancora prodotti. Occorre sensibilizzare la filiera, che deve dare delle risposte al consumatore per renderlo più consapevole. Il caffè come commodity ci sarà sempre ma possiamo lavorare sul consumatore sensibile alla responsabilità sociale perché paghi il caffè il giusto. Noi stiamo cercando di dimostrare che essere socialmente responsabili e fare business è possibile: non cambieremo il mondo, ma il “pezzettino di mondo” che ci coinvolge magari sì. Ed è un modello che ci piacerebbe esportare o vedere esportato in altri Paesi produttori”.
Il “caso” Italia
Anche il prezzo della tazzina a 1 euro circa vigente in Italia, indipendentemente dal tipo di caffè, “è – secondo Godina – un modello che non esiste per nessun tipo di prodotto e in nessun Paese. Quindi esso dovrà cambiare: caffè diversi devono avere prezzi diversi. Ma serve formazione da parte degli operatori che dovranno, a loro volta, fare divulgazione tra gli utenti finali”.
Il cambiamento climatico potrebbe devastare le maggiori coltivazioni mondiali. Secondo l’organizzazione World Coffee Research la chiave di volta potrebbe essere la coltivazione nel paese australiano
Il riscaldamento globale minaccia i chicchi di caffè. Con l’aumento della popolazione nel mondo, la domanda della calda bevanda scura arriverà a raddoppiare entro il 2050. Ma nelle tazze potrebbe non esserci niente da servire a causa del cambiamento climatico che rischia di rendere inutilizzabile gran parte delle terre nelle quali viene attualmente coltivata la pianta. La soluzione? Ricerca e sviluppo che sembrano puntare il dito verso l’Australia.
Domanda in crescita
Come riporta il Guardian, Greg Meenahan dell’organizzazione non-profit “World Coffee Research” afferma che la domanda di caffè raddoppierà entro il 2050 e, se non si prenderanno provvedimenti, più della metà delle terre deputate alla coltivazione delle piante non sarà più sostenibile a causa dei cambiamenti climatici. “Senza ricerca e sviluppo – spiega l’esperto – nel 2050 il settore del caffè avrà bisogno fino a 180 milioni di sacchi in più rispetto a quelli che probabilmente avremo”. Tutta colpa di eventi metereologici sempre più violenti, ma anche di insetti infestanti e malattie legate alle piante. Per scongiurare il collasso produttivo, l’organizzazione sta testando 35 tipi di caffè in 23 Paesi del mondo, misurandone le performance in climi differenti e includendo regioni mai associate a queste coltivazioni come l’Australia.
Test in Australia
Proprio in Australia verranno testate 20 varietà di piante da caffè, resistenti a varie condizioni climatiche. In Australia non vi è traccia di malattie infestanti tipiche delle piante da caffè, come la ruggine da foglia (Hemileia vastatrix), oltre a parassiti e patologie gravi. Queste “piaghe” agricole si erano manifestate ad altitudini limitate dalla Tanzania all’Indonesia, a causa delle temperature troppo alte e delle frequenti piogge. Quella australiana “è una condizione abbastanza unica rispetto alla maggior parte delle aree di produzione di caffè nel mondo”, spiega il professor Graham King della Southern Cross University.
Il caffè con meno caffeina
L’importazione australiana di caffè si aggira intorno alle 67.000 tonnellate (dati relativi all’annata 2011-12), a fronte di una produzione che viaggiava attorno alle 1.000 tonnellate. Molta strada c’è da fare per portare il prodotto interno a livelli accettabili. Inoltre gli esperti affermano che il caffè australiano ha dal 10% al 15% di caffeina in meno rispetto alla bevanda preparata con i chicchi d’oltreoceano. La ragione: i chicchi crescono in un ambiente meno stressato. Infatti la caffeina è un meccanismo di difesa attivato dalla pianta contro pesticidi e infestazioni.
Supporto alla ricerca
Tuttavia le condizioni climatiche australiane richiedono nuove varietà che possano adattarsi a microclimi mutevoli, più caldi e umidi, che attualmente stanno danneggiando piantagioni preesistenti. Per portare avanti la ricerca il “World Coffee Research” sta incoraggiando il Checkoff Program: le torrefazioni possono donare fino a 0,20 centesimi per chilogrammo di caffè per supportare la sperimentazione globale. Wendy De Jong, direttore del caffè presso Single O’, ha annunciato che sarà il primo supporter della causa, importando un intero container di caffé “future friendly” dall’Australia.
In generale ciò che le istituzioni globali temono è l’estinzione della bevanda importata dalle Americhe. Secondo Molly Harriss Olson, capo esecutivo di Fairtrade Australia, le ricerche in varietà più resistenti di caffè è cruciale perché entro il 2080 il caffè selvatico, zoccolo duro per sviluppare nuovi ceppi della pianta, potrebbe essere estinto.
Fonte: tg24.sky.it
Il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’amministrazione locale di Valencia (Spagna) ha creato una sorta di targhetta “cibo salutare” da esporre nei distributori automatici di alimenti e bevande.
Le vending machines che esibiscono volontariamente il “badge” garantiscono che la loro fornitura di alimenti sia conforme ai requisiti stabiliti dall’articolo 4 del decreto legge 84/2018, promuovendo, in questo modo, alimenti sani e sostenibili. Secondo questo decreto, nelle strutture e negli uffici di natura educativa, sanitaria e sociale spagnoli saranno ammessi solo i prodotti che soddisfano i valori nutrizionali indicati.
I criteri nutrizionali prevedono, ad esempio, che i prodotti confezionati non contengono più di 200 calorie oppure 0,5 g di sale.