Lo scorso 17 aprile si è tenuto a Roma, presso Palazzo Giustiniani in Senato, il convegno “Direttiva UE sulla plastica. Facciamo chiarezza”, organizzato dal movimento ecologista “Fare Ambiente” in collaborazione con Confida, Unionplast, Pro.mo e Corepla e con la partecipazione di Assobibe, Mineracqua, Assobioplastiche e Confcommercio. Ci si è confrontati con una nutrita schiera di politici sul tema della Direttiva Europea in materia di plastica monouso, in vista del suo recepimento in Italia. Erano presenti: il Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente Vannia Gava e i Senatori Paolo Arrigoni, Cinzia Bonfrisco, Maria Alessandra Gallone e Patti L’Abbate insieme agli Onorevoli Elena Lucchini, Mattia Mor, Diego Sozzani ed Elisabetta Gardini.
Come ha evidenziato Vincenzo Pepe, Presidente di Fare Ambiente, la normativa inciderà in maniera poco rilevante sul problema ambientale mondiale. Questo perché l’Europa produce soltanto il 15% dei rifiuti plastici totali, ma soprattutto perché la Direttiva, mal costruita e frettolosa, dimostra di non avere compreso le perduranti potenzialità della plastica che, a tutt’oggi, rappresenta la soluzione più ecologica e la più sicura dal lato alimentare.
Si ha l’impressione che il presupposto ispiratore della norma sia l’avversione ideologica a questo materiale, pur in assenza di riscontri oggettivi e scientifici.
I prodotti monouso – ha spiegato Marco Omboni, Presidente di Pro.Mon – rappresentano lo 0,6% della plastica prodotta in Europa e in assenza di soluzioni alternative sostenibili economicamente la Direttiva produrrà gravi danni occupazionali per le oltre 30 imprese italiane del settore e i loro 3.000 dipendenti, senza, come detto, alcun tangibile impatto positivo sui problemi ambientali (ovvero la dispersione della plastica nell’ambiente da parte degli utilizzatori finali e la mancanza di un’adeguata politica di riciclo).
Seppur discutibile per l’impostazione generale e per le scelte su cosa abolire e cosa no, la Direttiva prevede una gradualità applicativa nel tempo, lasciando, ad esempio, “vivere”, tra gli altri, le bottigliette di PET (prescrivendo soltanto che il tappo, entro il 2015, resti attaccato ai recipienti), i bicchieri di plastica (risultando aboliti solo quelli in polistirolo espanso), i sacchi per l’immondizia, il packaging di patatine e barrette alimentari e i vasetti per lo yogurt.
In Italia, a causa della campagna “Plastic Free” lanciata dal Ministro Sergio Costa, assistiamo a un moltiplicarsi di atti, ordinanze, bandi e provvedimenti amministrativi vari e “fantasiosi”, al fine di superare la Direttiva, che intendono eliminare totalmente – e immediatamente – la plastica e le bevande confezionate in PET dall’elenco dei prodotti utilizzati dalle amministrazione pubbliche.
Più di un comune (recentemente quello di Torino) è arrivato a dichiararsi “plastic free”, bandendo l’utilizzo di plastica monouso all’interno dei locali comunali e delle municipalizzate. Altri comuni (San Vito Lo Capo in provincia di Trapani) hanno proibito la vendita al pubblico e l’uso di piatti, bicchieri e cotton fioc in materiale plastico non biodegradabile.
Oltre alle imprese direttamente coinvolte nella produzione e lavorazione della plastica, l’errata applicazione della Direttiva UE, in assenza di un cambio di rotta immediato, recherà, in via indiretta, un grave danno economico anche ai settori in cui l’Italia è leader – dal Vending alle acque minerali – con un ulteriore calo dell’occupazione.
Questa situazione di manifesta illegittimità dei provvedimenti sopra menzionati, secondo l’analisi operata dallo Studio Legale Tristano, coinvolge almeno 1 provvedimento amministrativo su 2, con il rischio di paralisi dell’azione pubblica, a fronte dei prevedibili ricorsi alla giustizia amministrativa.
Il tema della plastica merita un approfondimento giuridico e scientifico più rigoroso rispetto all’approccio semplicistico e demagogico sin qui tenuto da una parte della politica e da molte istituzioni nazionali ed europee.
Occorrerà l’azione congiunta di tutti gli attori interessati al fine di far conoscere e comprendere la realtà dei dati e stimolare il dibattito in sede politica e giuridica, per arrivare a un recepimento della Direttiva in maniera rispettosa delle tante eccellenze italiane. Il convegno di Roma è stato, in tal senso, un ottimo punto di partenza.
Avv. Eugenio Tristano
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