Sempre più frequentemente – a seguito della nota direttiva europea sulla riduzione/abolizione della plastica monouso (approvata a ottobre dall’Europarlamento) e della cosiddetta “plastic free challenge” lanciata dal Ministero dell’Ambiento italiano – si stanno moltiplicando gli atti di revoca di gare in corso, motivati dalla necessità di eliminare la plastica o le bevande confezionate in PET dall’elenco dei prodotti erogati attraverso i distributori automatici. In altri casi, i bandi richiedono “ab origine” l’assenza di contenitori in plastica.
In questa sede ci soffermeremo sugli aspetti più strettamente connessi alle procedure di affidamento di concessioni pubbliche, per rispondere a 3 domande fondamentali:
• è possibile e legittimo revocare una gara per motivi attinenti a una diversa valutazione dell’impatto ambientale dei contenitori delle bevande erogate?
• è costituzionalmente consentito escludere del tutto i materiali plastici e affini, estromettendo di fatto dal mercato il 90% degli operatori economici del settore?
• Quali rimedi giurisdizionali possiedono le aziende interessate e quali danni possono essere richiesti in caso di accertata responsabilità della Stazione Appaltante?
Per fare ciò è necessario inquadrare la questione dal punto di vista normativo.
L’articolo 21 quinquies comma 1 della Legge n. 241 del 1990, nel disciplinare l’istituto giuridico della revoca, legittima l’annullamento, ad opera della Pubblica Amministrazione, dell’atto adottato. Si tratta del cosiddetto “jus poenitendi”, altrimenti detto diritto al “ripensamento”, di cui la P.A. dispone affinché possa essere assicurata la corretta protezione dell’interesse pubblico sotteso all’attività amministrativa. Questo diritto è esercitabile dalla P.A. in caso di sopravvenuti motivi di interesse pubblico, di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento oppure di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Il legislatore ha provveduto, però, a predisporre un adeguato indennizzo per i privati che “subiscono” la revoca della procedura della P.A.: quest’indennizzo, che non dipende dall’eventuale illegittimità del provvedimento amministrativo di “autotutela”, ha consistenza, secondo il Consiglio di Stato, “limitata alle spese inutilmente sopportate per partecipare alla gara, con esclusione di qualsiasi altro pregiudizio lamentato dalla parte interessata”. Tra queste spese rientrano, in particolare, quelle sostenute per la retribuzione del personale dipendente all’interno della società e le spese generali per il funzionamento della struttura aziendale ma non il lucro cessante. Tale danno, impossibile da determinare nel preciso ammontare, può essere stabilito in via forfettaria ed equitativa dal Giudice Amministrativo.
Ben diversa è, invece, la tutela riconosciuta ai privati in ragione della violazione delle regole comuni del Codice Civile che riguardano il comportamento precontrattuale delle parti, in particolare la violazione del principio generale di buona fede in senso oggettivo di cui all’art. 1337 c.c. Negli anni, infatti, la giurisprudenza ha dimostrato come la revoca illegittima da parte della P.A. integri una fattispecie della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., derivante dalla violazione del dovere di buona fede e di correttezza nello svolgimento delle trattative anteriori alla stipulazione del contratto (TAR Campania, Napoli, Sez. V, 1/2/2016 n. 607).
Secondo la giurisprudenza, “i soggetti pubblici, sia nell’ambito di trattative negoziali condotte senza procedura di evidenza pubblica, sia nell’ambito di procedure di gara, sono tenuti a improntare la propria condotta al canone di buona fede e correttezza scolpito nell’art. 1337 c.c., omettendo di determinare nella controparte privata affidamenti ingiustificati ovvero di tradire, senza giusta causa, affidamenti legittimamente ingenerati”. In questi casi va, inoltre, riconosciuto anche il c.d. “danno da perdita di chance”, ovvero il danno da perdita di un’alternativa contrattuale. Tale ipotesi ricorre sia in caso di revoca illegittima (per violazione di norme, eccesso di potere, ecc.), sia, pur in presenza di una revoca legittima, in caso di comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza dell’Amministrazione che, ad esempio, sebbene abbia ravvisato ragioni che avrebbero consigliato di non procedere all’aggiudicazione provvisoria o definitiva, ha omesso di arrestare la procedura per tempo, ingenerando nell’aggiudicataria un ragionevole affidamento nella conclusione della gara e nella possibilità di aggiudicarsi l’appalto stesso. Quando la Stazione Appaltante revoca l’intera procedura di selezione prima della stipula del contratto d’appalto crea, infatti, un pregiudizio, oltre che un danno economico, nei confronti della prima classificata, interessata alla instaurazione del rapporto contrattuale e al conseguimento delle utilità derivanti da esso. Per tale ragione l’impresa aggiudicataria può avanzare una legittima richiesta di risarcimento alla stazione appaltante.
Con riferimento a quanto spiegato finora e calandolo nella realtà che a noi più interessa – ovvero la concessione del servizio di ristorazione automatica – occorre distinguere l’ipotesi in cui il bando stesso escluda in radice la possibilità di utilizzare la plastica per fornire il servizio, dalla diversa eventualità della revoca della gara in corso, per una nuova valutazione dell’interesse pubblico sotteso all’indizione della procedura, in ragione di una mutata valutazione dell’impatto ambientale dei contenitori utilizzati per confezionare le bevande o i prodotti venduti.
Quanto al primo caso, si ritiene che, allo stato attuale, qualsiasi bando che vieti “ex se” l’utilizzazione della plastica, deve considerarsi illegittimo, con conseguente suo annullamento innanzi al Tar per sproporzionatezza e irragionevolezza. Tale divieto assoluto contrasta, infatti, con l’attuale stato delle tecniche produttive e dei materiali. È infatti impensabile una riconversione immediata a diversi – e più costosi – materiali per i contenitori. Un divieto così formulato avrebbe, quindi, l’effetto di non consentire la partecipazione alle gare della stragrande maggioranza dei gestori, con grave violazione del principio di eguaglianza, di libera iniziativa economica con gravi ricadute in campo occupazionale.
Il divieto “de quo” è, inoltre, incongruente con le surrichiamate “necessità ecologiche” di riduzione delle plastiche monouso, posto che, data la pressoché completa riciclabilità di bicchieri e bottiglie nel campo del Vending – anche in ragione del consumo presso luoghi chiusi, in vicinanza di appositi cestini – l’utilizzazione di contenitori in plastica monouso non contrasta in assoluto con gli obiettivi di riduzione dell’inquinamento.
In ultimo, occorre considerare il mancato perseguimento dell’interesse pubblico. È, infatti, ben diverso prevedere – come accaduto recentemente nella gara revocata dall’Università “Roma Tre” – il rifornimento tramite erogatori con rubinetti a pagamento – spesso posizionati a distanza ragguardevole dalla sede dell’ente – in alternativa al servizio di Vending tradizionale.
Concludendo, il bando che escluda completamente l’utilizzazione della plastica deve considerarsi illegittimo in quanto impone oneri sproporzionati o ingiustificati per le imprese concorrenti, idonei a escludere la quasi totalità degli operatori economici dal mercato.
Data la natura generale dell’illegittimo divieto, è possibile (e auspicabile) l’intervento di Confida, quale associazione di categoria, per l’impugnazione, accanto alle imprese, dei bandi irregolari.
Con riferimento, invece, alla revoca della gara in corso di selezione competitiva, occorre distinguere l’evenienza in cui l’aggiudicataria non sia stata ancora individuata, dal caso in cui la revoca venga adottata dopo l’aggiudicazione della gara.
Nella prima ipotesi, come già spiegato in precedenza, ogni concorrente potrà richiedere all’Amministrazione appaltante un semplice indennizzo, limitato alle spese inutilmente sopportate per partecipare alla gara, con esclusione di qualsiasi altro pregiudizio.
Qualora, invece, la revoca del bando intervenga dopo l’aggiudicazione, l’impresa vincitrice, oltre al c.d. “danno emergente” (spese), avrà titolo per richiedere il c.d. lucro cessante (mancato guadagno), secondo le ordinarie regole che disciplinano la prova in giudizio.
Avv. Eugenio Tristano
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