Ci sono ancora acquisizioni nei piani di Evoca Group e IVS Group, rispettivamente il leader tra i fabbricanti di distributori automatici e il leader dei gestori. Lo hanno detto chiaramente Andrea Zocchi, AD di Evoca (ex N&W), e Antonio Tartaro, AD di IVS, in occasione del loro intervento al “Caffè di BeBeez” dello scorso 3 luglio presso la sede di MF-Milano Finanza. Il workshop è stato organizzato dal portale di informazione finanziaria https://bebeez.it/, diretto dalla giornalista Stefania Peveraro, ed è stato tutto dedicato al Vending, che in tema di M&A è uno dei settori più attivi in Italia. L’incontro è stato incentrato sulla presentazione dello studio “Gli Oscar del Vending/La sostenibilità nel Vending”, promosso dalla rivista “Vending Magazine” (rappresentata a Milano dal redattore Enrico Capello) e realizzata dal dottor Franco Bompani, presidente di Eidos Consulting. Alla ricerca ha partecipato, con un suo contributo editoriale, anche la dottoressa Peveraro attraverso un articolo su “Vending e fondi”.
Gli investitori di private equity e private debt negli ultimi anni hanno dimostrato più volte di apprezzare il nostro settore. Evoca e IVS sono stati protagonisti di primo piano su questo fronte, ma non sono certo i soli. Questo probabilmente perché in Italia il comparto della Distribuzione Automatica è ancora molto frammentato (3.580 le aziende censite dall’Agenzia delle Entrate in occasione della Certificazione dei Corrispettivi) e si presta, quindi, a una crescita per acquisizioni e alla creazione di gruppi industriali secondo la logica anglosassone del “build-up”.
Lo studio condotto da Eidos Consulting per “Vending Magazine” ha individuato le 25 migliori società del settore tra le “Top 100” per ricavi 2016, sulla base di 5 indicatori: l’incremento percentuale dei ricavi rispetto all’anno precedente, il ROI, il ROS (rapporto tra Ebit e ricavi), il margine di Ebitda sul fatturato e il rapporto tra oneri finanziari e fatturato. Ogni parametro è stato ponderato al 20%. Sono stati poi normalizzati i valori in una scala da 0 a 100, tenendo conto del risultato di ogni azienda rispetto ai valori minimi e massini di quelle esaminate.
In particolare, le “Top 25” si sono distinte dalle “Top 100” sul fronte del ROI (in media del 17,5% contro 1,3%), del ROS (11,78% contro 4,16%) e del rapporto tra oneri finanziari e fatturato (0,32% contro 2,43%).
Dallo studio, commentato al “Caffè di BeBeez” dal dottor Bompani, emerge che le prime 5 società in classifica sono: Serenissima Distribuzione con un punteggio di 79,46 (in una scala da 0 a 100), Deltavending (79,32), Novagest (77,54), Schio Distributori Automatici (75,95) e GR-Generale Ristorazione (75,89). Solo 1 azienda delle prime 10 delle “Top 100” del Vending italiano per fatturato 2016 è entrata nella classifica degli “Oscar del Bilancio”: Gruppo Illiria. Questa situazione è dovuta, probabilmente, all’impatto negativo sul conto economico di molte società colpite dalle sanzioni erogate quell’anno dall’Antitrust per oltre 100 milioni di Euro, in merito a una presunta intesa anticoncorrenziale.
Tornando al rapporto tra M&A e Vending, IVS Group dal 2012 ha investito poco meno di 170 milioni di Euro in oltre 100 acquisizioni. E se ampliamo l’orizzonte agli ultimi 10 anni, le acquisizioni sono state addirittura 145.
Lo ha spiegato il dottor Tartaro, forte soprattutto dei capitali raccolti con la quotazione in Borsa nel 2012, a valle della business combination con la Spac Italy 1 Investments. Si era trattato del primo veicolo di investimento di questo tipo quotato in Italia. Italy 1 Investments aveva raccolto 150 milioni di Euro dagli investitori ed era stata promossa dai manager Vito Gamberale, Carlo Mammola, Gianni Revoltella, Roland Berger, Florian Lahmstein e Gero Wendenburg. Il Gruppo bergamasco ha chiuso il primo trimestre 2018 con 107,3 milioni di ricavi, un Ebitda normalizzato di 24,4 milioni e un debito finanziario netto di 262,5 milioni, compresi i 240 milioni di bond in circolazione. IVS Group aveva chiuso il 2017 con 409,1 milioni di ricavi e un Ebitda di 91,2 milioni e ha una capitalizzazione di poco meno di 470 milioni di Euro a Piazza Affari.
L’intervento di Antonio Tartaro:
“Puntiamo al 25%. Oggi abbiamo una fetta di mercato del 12% a volume e del 15% come fatturato. Il limite a cui nel tempo possiamo arrivare con l’attuale strategia di crescita sana ed economicamente sostenibile per linee interne ed esterne è dell’ordine del 20-25%. Questo è possibile farlo in tutti i Paesi in cui siamo presenti. Per questo dovremo investire ancora parecchio, quasi tanto quanto valiamo oggi in Borsa, visto che vogliamo sostanzialmente raddoppiare di dimensione.
Non solo Ebitda. Nel 2012, per sostenere la crescita in un momento di crisi del mercato, IVS si è trovata di fronte a un bivio: o rivolgersi a un investitore istituzionale o esporsi direttamente sul mercato. Abbiamo scelto una via intermedia, che ha fatto maturare più velocemente l’azienda rispetto alla presenza di un normale private equity. L’attenzione si è focalizzata non solo più sull’Ebitda ma sul bilancio nel suo complesso, oneri finanziari inclusi e utile netto. Il mercato degli azionisti di Borsa si attende non solo una crescita del valore aziendale, e quindi più Ebitda, ma anche come dividendo annuale ripetitivo.
Non lesiniamo sul Capex. Non tutti sanno che, nelle acquisizioni, estraiamo più valore lavorando sulla prima linea del conto economico dell’azienda acquisita, che sulle sinergie immediatamente visibili. Perciò non lesiniamo sul Capex se questo garantisce un ritorno adeguato, anche in termini di client retaining. Il nostro futuro passa, quindi, attraverso la continua implementazione di sistemi innovativi e macchine.
Il prezzo del caffè. Anche noi di IVS, pur avendo il prezzo medio più alto di mercato, sappiamo di “svendere” il nostro prodotto. Ma è un trend che cambierà. I Millenials ormai bevono una bevanda più ricca e farcita. Dovremo riuscire ad aumentare i prezzi medi a fronte di un’offerta molto più composita e ricca rispetto a quella attuale.
Il mestiere del gestore è cambiato. È sempre più difficile e ogni singolo dettaglio va curato in modo maniacale: come guadagni tanto, così puoi perdere altrettanto. I tempi dei soldi facili sono purtroppo finiti per sempre. Tante aziende che acquisiamo sono arrivate al limite della tenuta dei loro conti, sebbene non siano gestite male. Il consolidamento del mercato del Vending è iniziato a fine anni ’90 e proseguirà per altri 15 anni, anche perché le imprese di gestione producendo cassa costano e, quindi, ci vogliono tante risorse finanziarie da investire per comprarle. Ma la tecnica economica insegna che avere due grandi player di mercato con una quota del 25-30% e un terzo intorno al 20% è una cosa naturale e normalizzante per un settore. Chi ci segue in classifica (Argenta ndr) grazie alla nuova proprietà pare avere intenzione di ricominciare con gli investimenti. Avere un “buon secondo”, che ti mette pressione, è utile anche per noi che siamo leader di mercato”.
In termini di M&A anche Evoca non è da meno. Lo scorso maggio il gruppo ha comprato la spagnola Quality Espresso, uno dei maggiori produttori di macchine da caffè professionali manuali e di accessori complementari per il settore Ho.Re.Ca. A marzo, invece, aveva acquisito la statunitense VE Global Solutions, specializzata nella commercializzazione di macchine caffè professionali a marchio Necta, Wittenborg e SGL in Nord America. Nel giugno 2017, invece, il gruppo italiano aveva annunciato l’acquisizione di Les Entreprises Cafection, produttore canadese di macchine da caffè OCS con sede a Quebec City. Sul mercato italiano, a inizio 2017 Evoca aveva comprato da Royal Phillips Saeco Vending – e la licenza per l’utilizzo dei marchi Saeco e Gaggia per il mercato delle macchine da caffè professionali – e lo storico fabbricante di distributori automatici Ducale. E altre acquisizioni erano state condotte negli anni precedenti e altre sono in pipeline per il futuro.
A supportare l’aggressiva campagna di acquisizioni sono stati i fondi di private equity, azionisti da sempre del Gruppo bergamasco. Evoca è, infatti, controllata da inizio 2016 dal fondo Lone Star, che aveva rilevato il controllo del Gruppo dai fondi Equistone (ex Barclays Private Equity) e Investcorp, che avevano acquistato la società nel 2008 da altri due fondi di private equity e cioé da Argan Capital e Merrill Lynch Private Equity. Questi ultimi, a loro volta, nel 2005 avevano rilevato Evoca dal fondo Compass Partners International che nel 1999 aveva creato il Gruppo acquisendo l’italiana Necta (ex Zanussi Vending) dalla Electrolux-Zanussi e poi fondendola con la danese Wittenborg. La società, dunque, è al “quarto giro di valzer” con i fondi di buyout.
L’intervento di Andrea Zocchi:
“Sono due i fattori che rendono attrattivo il nostro settore per gli investitori: la capacità di crescita con una ancora buona profittabilità – per lo più con ampi margini di sviluppo dovuti al basso prezzo delle erogazioni al d.a. – e la leadership di settore. Per l’azienda è importante fornire performance finanziarie sostenibili. Non parlo solo di parte economica, quindi di Ebitda, ma della gestione dei flussi di cassa (il capitale circolante) che sono per gli investitori un asset fondamentale.
Una cosa devo dirla: tutti i manager dei fondi con cui ci siamo confrontati finora sono risultati essere degli ottimi professionisti, capaci di stimolarci e di consigliarci anche in ambiti non di loro stretta competenza, mettendoci in contatto con manager esterni nel caso di progetti speciali. Questo è stato un indubbio vantaggio per Evoca.
Quando le cose vanno bene è più facile lavorare assieme. Ma i fondi si sono dimostrati partner affidabili anche nei momenti di crisi. Nel 2008 fatturavamo 400 milioni di Euro e nel 2009, con l’esplosione della recessione e la diminuzione delle consumazioni, abbiamo avuto una perdita di ricavi pari al 30% (120 milioni). Eppure la proprietà non ci ha mai limitati nei Capex, le spese in conto capitale. Gli investimenti non sono venuti meno perché hanno compreso la strategia di un fabbricante leader di mercato che deve, per forza, essere fondata sulla necessità di progettare e proporre ogni anno nuove soluzioni e continue innovazioni nelle macchine che vengono sviluppate.
Il 2018 lo chiuderemo intorno ai 480 milioni e più di 20 milioni verranno investiti per lo sviluppo di nuove macchine, per il continuo miglioramento degli impianti produttivi, digital innovation e ICT. Una cifra adeguata alla nostra dimensione e consistente per il nostro business.
Anche negli anni più difficili abbiamo saputo gestire bene la pressione del debito che era stato contratto prima della crisi determinando, quindi, un alto livello di indebitamento. Ciò nonostante non abbiamo mai mancato un pagamento nè di quota capitale, nè di interessi e questo continua a essere per Evoca un vanto. Certo abbiamo anche dovuto fare delle scelte dolorose ma inevitabili: chiudere una fabbrica in Danimarca e in Piemonte. Ma ciò prescinde dai fondi di private equity.
I “contro” di avere un fondo di private al timone aziendale? Quando gli investitori sono più di uno. Anche quando le quote sono divise al 50% ce n’è sempre uno preminente. Se non c’è sintonia, non c’è neppure dialogo e ciò destabilizza il management. Noi abbiamo avuto un paio di esperienze di questo tipo in passato. Meglio un unico interlocutore.
Ritengo che l’industria del Vending sia ancora molto interessante. Le acquisizioni che abbiamo portato a termine sono state fatte per aumentare le nostre competenze tecnologiche, la nostra presenza in aree diverse del Vending tradizionale – l’OCS e l’Ho.Re.Ca. – e la nostra penetrazione in alcuni mercati esteri. Puntiamo molto su Asia-Pacific e Nord America. In ogni area geografica si devono offrire tecnologie molto diverse perché gusti e tradizioni cambiano da Paese a Paese. In Italia entro fine anno investiremo su Gaggia per lanciare nuovi modelli ed entrare decisi nel settore delle macchine tradizionali.
Potrebbe essere il momento per andare in Borsa? “Confesso che mi piacerebbe questa esperienza. Non è compito del management decidere ma noi siamo pronti. Lone Star è entrato nel nostro capitale poco più di 2 anni fa e quindi potrebbe essere un po’ presto. Detto questo, sappiamo che i fondi non battono spesso la strada delle quotazione in Borsa anche se sono molto bravi a cogliere le opportunità più interessanti quando si presentano; quindi non si sa mai. Non è però detto che l’exit sia la Borsa. Potremmo entrare nel mirino di un strategic buyer (grande gruppo industriale) – anche se, per le nostre dimensioni, non è una soluzione di così facile percorribilità – o essere ancora rilevati da un private equity. Certo la dimensione per quotarci ce l’abbiamo. Quest’anno chiuderemo il bilancio con circa 480 milioni di Euro di ricavi”. Una cifra in netto rialzo dai 416,5 milioni del 2017, quando Evoca aveva registrato un Ebitda rettificato di 95,1 milioni, con un debito finanziario netto di 456 milioni, comprensivi di 410 milioni di Euro di bond. Evoca è, quindi, un “campione” del Made in Italy.
Due leader di mercato, che collaborano ma che escludono qualsiasi sinergia societaria, principalmente per una questione di opportunità. Ognuno resta focalizzato sul suo segmento di appartenenza. “Tenderei a escludere degli incroci tra fabbricante/produttore e gestore – ha detto Tartaro –. Nel momento in cui Evoca comprasse IVS, o viceversa, Evoca perderebbe tutti i suoi clienti. Così è accaduto nel 2002 quando Maas acquisì la tedesca Spengler. Dopo un mese e mezzo, Spengler era monocliente di Maas. Sono possibili collaborazioni tecniche e rapporti esclusivi di partnership ma gli incroci, la storia ci insegna, sono pericolosi”.
“Sono d’accordo – ha aggiunto Zocchi – . Escludiamo di fare anche i gestori. Avevamo ipotizzato uno scenario simile su mercati lontani come quello cinese, ma oggi questa non è una priorità per Evoca”.
Si fa più vicina la quotazione di Selecta, il gruppo svizzero controllato da Kkr, che l’anno scorso ha comprato Argenta e potrebbe andare in Borsa in Svizzera tra fine anno e inizio 2019. Al lavoro sul progetto c’è l’advisor Lazard e Selecta potrebbe avere una capitalizzazione da 1 miliardo di franchi svizzeri (circa 870 milioni di Euro), considerando che per l’esercizio 2017-2018 il gruppo prevede un Ebitda rettificato compreso tra i 245 e i 255 milioni di Euro, che diventerebbe circa 300 milioni includendo le sinergie ancora non realizzate derivanti dalle ultime acquisizioni. Per Selecta sarebbe un ritorno in Borsa, dopo il delisting del 2001 da parte del gruppo di catering britannico Compass Group.
Fondata nel 1957, Selecta nel 1985 era divenuta di proprietà del gruppo svizzero di logistica e trading Valora (quotato) che aveva poi portato Selecta sul listino nel 1997. Compass aveva poi venduto Selecta ad Allianz Capital Partners affiancato da BlueBay nel 2007 in un deal con una leva molto elevata, tipica di quegli anni. Ma quel debito, a seguito della crisi finanziaria globale, aveva messo in crisi il gruppo.
Dopo un tentativo di vendita del gruppo senza successo da parte di Allianz Capital Partners nel 2012, era intervenuta Kkr nel 2014 con un’iniezione di 220 milioni di Euro di finanziamento PIK che aveva evitato la ristrutturazione del debito. Contemporaneamente Selecta aveva rifinanziato il resto del debito con 550 milioni di Euro di bond high yield.
Poi nell’ottobre 2015 Kkr aveva comprato da Allianz Capital Partners oltre il 90% del capitale di Selecta, con la restante quota che era rimasta in portafoglio al fondo Bluebay. Lo scorso marzo Selecta ha, infine, annunciato il rifinanziamento dell’intero debito per 1,3 miliardi di Euro tramite l’emissione di bond.