Natascia Pivetta
La centralità del cliente e l’importanza della multicanalità sono temi ormai fondamentali per lo sviluppo del business, anche nel Vending.
Natascia Pivetta, moderatrice della sessione “La gestione del cliente oltre l’insoddisfazione: dal reclamo a nuove opportunità di fidelizzazione” durante il Forumretail 2017 a Milano, ha fatto della centralità del cliente la sua professione. L’abbiamo intervistata per capire meglio “come” e “perché” un cliente insoddisfatto è, in realtà, una grande opportunità di successo.
Perché è un elemento fondamentale per il loro successo. Oggi il comportamento della domanda è sempre più fluido e veloce e al contempo c’è una concorrenza senza precedenti per intensità, varietà e capacità di innovazione. È sempre più difficile conquistare e mantenere nuovi clienti, fidelizzarli, ridurre il tasso di abbandono e farli crescere.
In questo contesto l’ascolto, la conoscenza e la relazione con i propri clienti sono diventati molto più importanti della capacità di “produrre”. Le imprese di successo sono quelle capaci di far vivere al consumatore un’esperienza complessiva superiore rispetto alle aspettative e ai competitor. I clienti, sia nel B2B che nel B2C, si aspettano prodotti, servizi e informazioni che rispondano puntualmente ai loro specifici bisogni e desideri. Un prodotto migliore o un servizio più performante non sono più la chiave per affermarsi sul mercato. Anzi, li diamo per scontati. Altro è offrire un’esperienza “memorabile”, qualcosa che esca dalla norma, che renda il nostro prodotto/servizio differente rispetto a quello della concorrenza.
Iniziamo con una definizione: la Customer Experience (o CX) è “il modo in cui i clienti percepiscono l’insieme della loro interazione con l’azienda” (Clienti al Centro, Manning, Bodyne, 2012 ndr).
I consumatori interagiscono oggi con le aziende attraverso svariati punti di contatto e molteplici canali “on-line” e “off-line”: spazi fisici o virtuali, sito web, social media, operatore del call center, addetto al front office, brochure informative e così via. I “ricordi” che maturano per ciascuna interazione durante tutto il ciclo di vita concorrono a formare la loro percezione del servizio. Valutano, in positivo o in negativo, quanto li hanno aiutati a raggiungere i loro obiettivi o quanto hanno soddisfatto i loro bisogni. E decidono se dare o meno fiducia di conseguenza.
Bisogna iniziare un viaggio, mettere il cliente al centro e farlo per davvero. Bisogna rivivere il suo percorso passo dopo passo, considerando le sue aspettative e le sue necessità, oltre alle gioie e ai problemi che ogni attività comporta: dalla semplice ricerca sul web, all’interazione con l’operatore del call-center o con l’addetto alle vendite, nel caso del Vending il caricatore dei distributori, fino al reclamo e al riacquisto.
Fondamentale è osservare, ascoltare e “infilarsi le sue scarpe”, dimenticandosi per un po’ della propria azienda e dei propri prodotti o servizi. Il cliente va capito e vissuto tenendo conto di quell’insieme di fattori umani – e non – che ne condizionano le decisioni e che impattano sulla sua esperienza.
Solo quando avrò capito davvero cosa fa, cosa lo muove e quali sono le emozioni e i bisogni che lo accompagnano potrò intervenire per conquistarlo, fidelizzarlo, ridurne il tasso di abbandono e migliorarne il potenziale di crescita.
Come? Progettando e proponendo nuovi prodotti, servizi ed esperienze che vadano al di là delle sue aspettative e ad alto coinvolgimento.
Grazie all’analisi dell’esperienza del cliente, potrò decidere come ottimizzare un processo commerciale o di comunicazione, se e come rivedere il sito web o il layout della locazione fino alla definizione dell’intera strategia aziendale attraverso l’analisi del lifecycle prima, durante e dopo l’acquisto. Il “viaggio nelle scarpe del cliente” è un’esperienza di scoperta che sblocca decisioni e azioni, attivandone di nuove.
L’attenzione non va più rivolta alla costruzione, ideazione o invenzione, ma all’osservazione e all’ascolto: il prodotto e servizio non possono essere più disegnati sulle capacità o competenze aziendali, ma sui bisogni e le aspettative del cliente.
Bisogna prestare attenzione all’intero viaggio del cliente. La sua esperienza va ben oltre l’ambito d’interazione che le aziende tendono normalmente a considerare: acquisto, transazione, customer service. Comprende il momento in cui nasce il suo bisogno, la ricerca, l’acquisto e l’uso, per giungere fino al passaparola, positivo o negativo che sia.
Non esiste un’offerta di valore unica per tutto il mercato. Non si possono gestire tutti i clienti allo stesso modo. Vanno pensate soluzioni e tipologie di strumenti per segmenti definiti di clientela considerati non più dal punto di vista quantitativo, ma sulla base di variabili qualitative e comportamentali.
Una customer experience eccellente è frutto del coinvolgimento di tutte le persone dell’azienda. Bisogna creare e sostenere una cultura aziendale attenta alla Customer Experience, sensibilizzare e favorire l’adozione di comportamenti di ascolto reale del cliente da parte di tutti.
È il cambio di prospettiva. Il convincersi che non sto vendendo solo prodotti e servizi, ma esperienze che soddisferanno o meno i bisogni, le emozioni e i desideri dell’interlocutore. E che da quest’ultimi devo partire.
Investire, davvero, sulla customer experience è il modo migliore per ridurre i costi e aumentare il fatturato. Soprattutto se siamo in grado di capire quali sono i touchpoint più importanti su cui lavorare per agevolare il viaggio del cliente, agevolare l’acquisto, creando fidelizzazione e stimolando il passaparola positivo. Se guardiamo ai numeri, da una ricerca di KPMG Nunwood risulta che i brand nelle prime 10 posizioni della classifica Customer Experience Excellence (CEE) italiana hanno crescita dei ricavi doppia rispetto ai brand nelle posizioni dalla 11 alla 50.
Che il reclamo non deve essere vissuto come un incidente di percorso da dimenticare, ma come un’opportunità.
Un cliente insoddisfatto ha due alternative: comprare da qualcun altro e lamentarsi con gli amici o lamentarsi direttamente con l’azienda.
Se nel primo caso non ci consente di rimediare, nel secondo ha scelto di parlare e ci offre la possibilità di migliorare. Ci racconta la sua “experience”, ci segnala un errore, ci palese una sofferenza, ci descrive le sue emozioni. Ci mette nelle condizioni di capire quali sono i punti deboli del journey, di pensare a nuove soluzioni e a come anticipare i problemi. E soprattutto, se siamo in grado di intervenire in modo tempestivo e coerente con le sue emozioni, di recuperare la fiducia tradita.
Il brand non costituisce solo uno strumento attraverso cui rendere il nostro prodotto riconoscibile nel mercato, ma è una promessa, la promessa di un’azienda a quel cliente di essere davvero la scelta migliore e che la fiducia che su di essa ripone non sarà tradita.
Solo partendo da questo presupposto posso facilmente capire quanto pesa un’esperienza negativa: tanto quanto la fiducia tradita.
Il cliente “tradito” non riacquista, ma soprattutto ci mette molto impegno nel raccontarlo in giro e viene ascoltato. Secondo un’indagine Accenture, un quarto dei clienti insoddisfatti pubblica una recensione negativa e circa il 90% dei consumatori ritiene utile leggere i commenti.
Una volta i cambiamenti erano rari e prevedibili. Adesso è diventato tutto meno lineare e la rapidità dei cambiamenti è sotto gli occhi di tutti. Prodotti e strategie una volta definiti invecchiano rapidamente.
Considerando la strategia un processo continuo. Uno dei pilastri del metodo “People Branding” sono le strategie dinamiche. Sono la logica conseguenza del contesto in cui ci muoviamo. Un contesto mutevole e imprevedibile dove la strategia è una modalità con cui decidere, pensare e agire che mette al centro il cliente con i suoi bisogni e le sue aspettative. Una strategia da prototipare, testare, monitorare e migliorare di volta in volta.
Mantenendo il cliente, il suo profilo emozionale e comportamentale come punto focale. Una buona analisi della customer experience consente di anticipare le necessità del cliente, di costruire su di essa proposte a valore aggiunto in grado di prevenire una “bad customer experience” o di sapere fin da subito come intervenire qualora un problema si verifichi usando in modo coerente canali e strumenti.
Nel caso specifico del Vending, pensiamo solo all’impatto sui distributori automatici della digital trasformation e dell’internet delle cose: sistemi che avvisano automaticamente quando i prodotti stanno terminando, quando ci sono malfunzionamenti o addirittura dotati di touchscreen in grado di rilevare situazioni di palese insoddisfazione. O capaci anche di proporre soluzioni tagliate sul profilo comportamentale ed emozionale del cliente. Vending machine intelligenti che grazie ad applicazioni su smartphone lo riconoscono – un po’ come il barista che conosce i nostri gusti e abitudini – lo informano su novità e offerte, personalizzano l’esperienza e gli consentono di pagare con moneta elettronica.
Ogni intervento deve diventare risolutivo o meglio ancora anticipatorio rispetto al problema e generare “wow”. La cosa più importante è far vivere un’esperienza emotiva superiore alle aspettative anche e soprattutto quando il cliente si trova ad affrontare una situazione spiacevole.
L’Intelligenza Artificiale. Ci sono molte definizioni di intelligenza artificiale. Semplificando: quando parliamo di intelligenza artificiale parliamo della possibilità di creare “macchine intelligenti”.
Guardiamo ai ChatBot: sono dei programmi che simulano una conversazione, che avviene tra un robot e un essere umano (o cliente in questo caso). Potremmo chiamarli assistenti virtuali. Sono una forma di intelligenza artificiale che ha già sviluppi molto interessanti. All’interno di un e-commerce, consentono di monitorare e guidare il processo d’acquisto di un cliente oppure di rispondere a domande e richieste. E di farlo in modo istantaneo. L’obiettivo è arrivare ad avere “assistenti virtuali” in grado di instaurare con il cliente una relazione – per quanto possibile – più vicina a quella umana e di supportare (non sostituire) l’attività dei team aziendali.
E poi c’è “Internet Of Things”, l’estensione di internet al mondo delle cose. Automobili, elettrodomestici, telecamere, pezzi d’arredamento equipaggiati con un software che scambia dati con altri oggetti connessi, rendendoli in grado di interagire tra loro e con la realtà circostante. Ma non solo, con lo IOT, si automatizzano i processi e si rendono disponibili informazioni che prima non avevamo, garantendo ad esempio un controllo preventivo sullo stato di salute delle macchine in uso.
ChatBot e IOT iniziano ad avere e avranno un peso sempre maggiore sulla capacità di conoscere e coinvolgere i clienti attraverso la tecnologia, modificandone e migliorandone la customer experience. Gli stessi distributori automatici potrebbero (e degli esempi già ci sono) diventare interattivi e in grado di facilitare e rendere più piacevole l’esperienza d’uso del consumatore. Questo, ovviamente richiede la capacità di utilizzare al meglio l’enorme mole di dati a nostra disposizione per definirne bisogni ed emozioni. Ma i miglioramenti in questo campo, sono all’ordine del giorno.
Sinceramente, vedo solo opportunità!
Mettersi nelle scarpe del cliente e comprenderne bisogni e desideri, consente alle aziende di costruire percorsi d’acquisto su misura, rispondenti o anticipatori rispetto ai suoi bisogni e aspettative. Se ben costruita la customer experience produce emozione positive e le emozioni positive aumentano la disponibilità di spesa, la propensione all’up-selling e al cross-selling, la tolleranza verso i difetti, la quantità e la quantità del passaparola.
Orsola Mallozzi
È “l’illustrazione visiva” del viaggio del cliente. Un percorso che inizia dalla nascita di un bisogno e si snoda attraverso alcuni passaggi nei quali il cliente entra in contatto, effettivamente o potenzialmente, con l’azienda o il suo brand attraverso una serie di touchpoint. Il customer journey disegna i passaggi tra un touchpoint e l’altro sia da un punto di vista funzionale che emotivo.
Sono i punti di contatto fra l’azienda e il cliente nel suo percorso per la soddisfazione di un bisogno, prima, durante e dopo l’acquisto: il sito web, la brochure, lo stand in fiera, l’area break, il customer service. Sono i momenti su cui si può lavorare per offrire al cliente un’esperienza piacevole e superiore alle aspettative. O risolvergli un problema.
Guardare al percorso emozionale è guardare al modo in cui i clienti si sono sentiti, alle emozioni positive o negative che hanno provato durante le tappe del loro viaggio. È capire se le hanno trovate piacevoli, quanto si sono sentiti rassicurati o piuttosto delusi o frustrati.
Il consumatore liquido-moderno fruisce dell’esperienza d’acquisto in modo frammentato. Si trova davanti a una sovrabbondanza di informazioni, di prodotti e servizi disponibili a prezzi molto diversi, prende decisioni in un orizzonte temporale tendenzialmente breve, sceglie su base valoriale e in base a stati emotivi diversi. Cerca e si aspetta di trovare offerte, prodotti e servizi in grado di stare al passo con i suoi bisogni e desideri.