PROFILO DI EMANUELE FRONTONI
Professore di Informatica e Visione Artificiale all’Università Politecnica delle Marche e delegato del Rettore per la digitalizzazione. Si occupa di Visione Artificiale e, in particolare, di apprendimento del comportamento umano attraverso sensori visivi. La sua attività di ricerca e insegnamento presso il DII (Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione) si concentra nel settore della computer vision e dell’intelligenza artificiale con applicazioni nel settore della robotica, della video analisi e human behaviour analysis, della classificazione automatica di immagini a scopi fotogrammetrici e di uso del suolo.
Coordina numerosi progetti di innovazione tecnologica, anche a livello europeo, in ambito urbano, culturale e socio-sanitario.
La Ricerca sul settore del Vending presentata a Evex 2017 è stata condotta dal seguente gruppo di lavoro: Gianluca Gregori, Luca Marinelli, Emanuele Frontoni con la collaborazione di Erwin Wetzel (Managing Director EVA) e Michele Adt (Direttore Confida).
La scienza applicata al Vending. Nessun esperimento metafisico, nessuna strana congettura, niente dell’altro mondo. Semplicemente un’analisi di comportamento tramutata in numeri e statistiche per capire e conoscere chi usa i distributori: i “mitici” consumatori. Quella parola che riempie la bocca di tutti gli operatori ma di cui, in realtà, pochi conoscono il reale significato in un settore che ha prosperato su un’utenza chiusa (luoghi di lavoro, enti pubblici e scuole), dove la concorrenza è sempre stata minima, se non inesistente,.
Oggi il mondo è cambiato. E deve cambiare anche il Vending. Crossover e commistione tra canali. I “consumatori” hanno possibilità di acquisto differenti. Aumenta la concorrenza, diminuiscono i margini di redditività. L’imprenditore oculato non può più ignorare gli orientamenti di chi usa il distributore, perché le scelte e i riscontri di chi pigia i tasti delle sue macchine per selezionare un prodotto influenzeranno, sempre di più, anche le decisioni del committente del servizio. E non sempre ci si può salvare con l’offerta al ribasso o il ristorno più alto.
Durante l’evento del Vending europeo Evex, tenutosi a Roma lo scorso novembre, il Prof. Emanuele Frontoni dell’Università Politecnica delle Marche ha presentato i risultati di una ricerca realizzata con le associazioni di settore europea (EVA) e italiana (Confida) su 4 locazioni differenti – università, azienda, ospedale e negozio automatico – per un periodo di 12 settimane e coinvolgendo circa 17mila utenti. Con l’ausilio di telecamere RGBD, è stato analizzato il comportamento dei consumatori, dimostrando l’importanza dei “Big Data” nel Vending. Le telecamere hanno rilevato il tempo trascorso e le reazioni delle persone di fronte a un distributore automatico. Lo studio ha evidenziato che la migliore comprensione della clientela, attraverso la raccolta e l’analisi dei dati, permette a gestori, produttori e fabbricanti di parametrare meglio la propria offerta per creare un nuovo business o ampliare quello già esistente.
È stata condotta da un team che ha unito le competenze tecnologiche nel settore dell’intelligenza artificiale con quelle di marketing. Non ha la volontà di essere esaustiva di un intero settore, ma cerca di mettere in discussione i classici metodi di analisi, introducendo nuovi sensori RGBD – delle micro-camere capaci di misurare anche distanze e forme – per allargare l’attenzione dalla sola macchina a tutto ciò che la circonda. Abbiamo analizzato il numero totale di persone che passavano nell’area di interesse delle vending machines, per poi valutare quanti di questo venivano attratti effettivamente dalla macchina, si fermavano per più di 5 secondi, iniziavano l’interazione e infine acquistavano uno o più prodotti.
La nostra università, l’area di ingresso di un grande ospedale, la parte produttiva di un’azienda e un negozio self-service in una via centrale di una media città. Tutti target differenti tra loro sia per disponibilità di tempo dei consumatori che per “vicinanza” alle nuove tecnologie. In tutte le locazioni erano presenti d.a. di caffè, snack e bevande fredde. Il mix di prodotti venduti ci è servito per analizzare le possibili azioni di co-marketing tra le tre categorie.
I risultati sono stati interessanti e, secondo il team di ricerca da me coordinato, mettono in discussione alcune “regole” storiche del settore. Ci ha stupito notare, ad esempio, come gli utenti del Vending siano attenti al tempo necessario per compiere gli acquisti: più si allunga l’interazione e meno il consumatore porta a termine l’operazione. Questo dato è importantissimo anche nel valutare l’utilizzo dei sistemi di pagamento cashless ed è ben comprensibile in target come quelli ospedalieri, dove gli utenti sono di passaggio e l’acquisto è principalmente di necessità, attraverso un’azione pensata e programmata e non di impulso ovvero guidati dalla nostra parte istintiva e attratti da una promo o da un packaging dal colore acceso.
L’altro dato importante è che, nonostante la presenza di diverse tipologie di d.a., circa il 93% degli utenti analizzati acquista solo un prodotto. C’è ancora molto da fare nel cross merchandising e nei sistemi di gestione di menù e acquisti multipli.
Altro elemento interessante è quello relativo alle assenze di prodotti nelle macchine. Abbiamo misurato delle rotture di stock del 25% in alcuni distributori e comparato la reazione dei consumatori di fronte a macchine piene. Dai dati risulta una situazione “drammatica” in presenza di rotture di stock: meno di un terzo delle persone continua ad acquistare e l’attrazione della macchina è dell’80% inferiore, portando a vendite estremamente inferiori rispetto allo standard. Questo può essere facilmente compreso dalla cattiva percezione di cura della macchina che ha il cliente e dal timore che gli snack presenti siano lì fermi da tempo.
L’utente universitario, giovane e attratto dalle novità, effettua acquisti veloci, influenzato anche dal prezzo, ed è molto reattivo rispetto alle promozioni e alle novità. Chi usa il distributore automatico dell’ospedale lo fa principalmente per una necessità, compra sempre un solo bene, è molto veloce nell’acquisto. In azienda si passa più tempo davanti al distributore e chi arriva in quella zona compra per oltre l’80% dei casi.
Totalmente diverso è il comportamento dell’utente del negozio self-service: visita più di una macchina, passa più tempo nella locazione. Anche in questo caso, però, gran parte degli acquisti sono unici. L’attenzione va spostata nell’attrazione all’esterno del negozio, creando vere e proprie vetrine di prodotto come nel retail classico.
In generale il tempo medio di sosta al distributore è di circa 15 secondi. Questa dimensione è utile per meglio comprendere quali messaggi visivi e di comunicazione possano passare all’interno delle nuove vending machines dotate di schermi. Perché più questo tempo di “sosta” di fronte alla macchina si allunga, meno probabilità c’è di concludere l’acquisto.
Mi trovo d’accordo sul rischio che, però, è per lo più dovuto a una gestione approssimativa dell’aspetto di interaction design e di contenuti. Mi spiego: una postazione con monitor di grandi dimensioni attrae molto l’attenzione ma ovviamente crea esperienze interattive più impegnative. Tuttavia offre anche più informazioni per acquisti consapevoli e fornisce anche molti spunti di cross merchandising.
Una possibile soluzione contro l’allungamento dei tempi è instaurare comunicazioni tra macchine e device personali dell’utente, come gli smartphone, per esercitare le scelte d’acquisto già da remoto e poi ritirare il prodotto magari usando un codice.
Ecco dimostrata l’importanza delle analisi che cerchiamo di portare avanti. Ci sono tanti fattori in ballo come la visibilità, la capacità attrattiva, l’appeal dell’offerta merceologica e il design della macchine. Stiamo studiando dei casi in ambiti ad altissima pedonabilità dove il numero di passanti che si ferma in vetrina è meno del 2%, contro il 7% dei classici negozi fronte strada, anche se in questo caso specifico il passaggio è di circa 10 volte superiore alla media e, dunque, in termini numerici molto più rilevante.
La domanda giusta è: il mio d.a. è sufficientemente attraente? Propongo un “argomento” di interesse per cui chi passa davanti alla mia macchina, magari utilizzando gli schermi come mezzo di attrazione? Utilizzo le proposizioni di vendita corrette, con un mix giusto di prodotti?
Gli investimenti dovrebbero concentrarsi su comprendere cosa il “potenziale” consumatore vuole.
Su questi temi c’è anche molto bisogno di formazione e di avere nei team dei gestori dei professionisti capaci di interpretare dati e tendenze nel mondo del category.
Una migliore proposizione del prodotto, un planogram ad hoc sulla tipologia di consumatore riferita a quella specifica vending machine e un mix merceologico che possa stimolare acquisti multipli, sono tutti “drive” rilevanti per far sì che vengano offerte le soluzioni più adatte alle richieste della clientela.
Semplicemente basandoci sulle attività del consumatore, si potrebbe meglio comprendere quali sono i prodotti preferiti (più acquistati), quali quelli meno e determinarne anche i giorni in cui si preferisce quella referenza piuttosto che un’altra.
Stesso discorso vale per il mix merceologico, ovvero compro una brioche e un succo alla pera il lunedì e il martedì mentre nel resto della settimana opto per una bottiglia d’acqua e dei cracker integrali.
In funzione di queste preferenze soggettive il planogram può essere rivisto e gestito nel modo più consono alle richieste dei consumatori, personalizzando lo “shopping” automatico.
Nel nostro test abbiamo misurato con una sorta di “mappa di calore” le interazioni degli utenti con i prodotti all’interno dell’area snack delle vending machines analizzate. I risultati mostrano come le “aree calde”, quelle cioè a maggiore interazione, possano essere fortemente condizionate dalla presenza di comunicazione di nuovi prodotti o referenze in offerta. Questo mostra la possibilità, in maniera molto efficace, di influenzare il consumatore per spostare le sue preferenze verso prodotti nuovi o a prezzi migliori. Un ambito degno di attenzione per i gestori e su cui si possono avviare interessanti progetti.
Questo è un elemento che dovrebbe essere misurato in maniera molto profonda, perché può generare esperienze più gratificanti per il consumatore – che avrebbe a disposizione praticamente un’offerta personalizzata – e dare evidenze molto importanti per l’industria dei produttori che vedrebbe la possibilità di aumentare le vendite in questo canale sviluppando nuovi mix di prodotto e misurando in maniera corretta le nuove opportunità di cross merchandising.
Anche i fabbricanti di macchine debbono guardare a queste ricerche con interesse. Abbiamo misurato due differenti vending machines nella stessa location con un uguale numero di passaggi. Ne risulta una notevole differenza in termini di capacità di attrazione che deve far crescere la consapevolezza che design, sistemi di interfaccia digitali, illuminazione e comunicazione sono caratteristiche che vanno misurate e valutate, al fine di rendere disponibili sul mercato macchine sempre più efficaci in termini di attrazione dei consumatori.
Immense, considerato che, in genere, si utilizza solo il 2% dei dati disponibili. Questi tool sono personali, immediati, efficienti, riguardanti nello specifico le esigenze manifeste del consumatore e capaci, inoltre, di offrire opportunità predittive.
Quello che mi sembra mancare sono, però, le strategie omogenee e trasversali, ovvero veri e propri progetti integrati capaci di attrarre il consumatore nel canale online per poi trasformare il tutto in vendite off-line.
Di sicuro, però, le prossime interfacce grafiche delle vending machines si sposteranno sempre di più dentro gli smartphone e le app e da qui partirà un nuovo modello di consumo, tutto da studiare.
Temo che si sia ancora un po’ indietro, cosi come accade, peraltro, nel retail classico. Credo, però, che pian piano ci si stia rendendo conto che le alternative alle scelte consapevoli (basate su dati e misure), attraverso semplici valutazioni soggettive (basate solo sull’esperienza), siano molto rischiose. Non voglio dire che l’esperienza e l’intuito siano inutili, anzi sottolineo che sono fondamentali, ma oggi possono contare su alleati importanti come i dati ed il loro significato.
Servono, senza dubbio, investimenti importanti, ma possono essere gestiti nel tempo. Ci è piaciuta, però, la reazione di tanti operatori del settore a questi temi e la grande attenzione da parte di EVA e Confida. Con Confida stiamo progettando un corso di formazione per le aziende del setttore.
C’è interesse e sensibilità e siamo convinti che, cambiando il concetto di vending machines in un vero e proprio “sensore” capace di raccogliere dati, potremo arrivare a rilevanti novità e a un nuovo modello di business che sarà un valore aggiunto per gli operatori del settore.
Tutti pensavamo, fino a pochi anni fa, che fossero argomenti lontani dal mondo. Oggi, invece, sono molto comuni. L’industria del Vending ci arriverà presto. Come spesso capita, serve un “capitano” di industria che abbia il coraggio di fare il primo passo. I nostri centri di ricerca hanno tante idee in merito e sono a disposizione di chi riuscirà a tradurle in modelli di business su scala europea, portando innovazione in una sana collaborazione tra università e imprese.