lI portale ministeriale Cliclavoro ha pubblicato un interessante approfondimento sull’argomento “stress lavoro correlato”, indagando su cause, effetti e gestione del fenomeno con riferimento alla vigente normativa. Trascorso ormai quasi un decennio dalle prime indagini effettuate dalla nostra società di consulenza nel mondo del Vending – e confrontando i dati in nostro possesso con le valutazioni contenute nell’approfondimento ministeriale – ecco allora all’attenzione dei lettori di VM le considerazioni che ne sono scaturite.
Lo stress lavoro correlato non è necessariamente definibile una “malattia” ma sicuramente una condizione che può trasformarsi, degenerando in “patologia”. Il fenomeno interessa una elevata percentuale di lavoratori, addirittura 1 su 4, provocando ansia, irritabilità e disturbi psicosomatici, fino ad arrivare a caratterizzare comportamenti di difficoltà relazionale.
Questo il percorso: ci si trova inizialmente in una fase di allarme a cui si oppone resistenza, fino ad arrivare, per alcuni casi, al crollo delle relazioni e all’isolamento. E quando si crolla vuol dire che le energie fisiche e psicofisiche dell’individuo sono ormai venute meno e non si riesce a lavorare come prima, né a relazionarsi con gli altri come una volta.
Ma a fronte di comportamenti di questo genere (isolamento e chiusura) c’è anche chi, nello stress, trova uno stimolo per fare di più. In genere, parliamo di persone che traggono soddisfazioni dal lavoro e che danno il meglio sotto effetto adrenalinico. Il prof. Giovanni Costa, docente di “Scienze Cliniche e di Comunità” all’Università degli Studi di Milano, lo definisce “alcool da lavoro”: una ricerca compulsiva di risultati e consenso, con eccessivo coinvolgimento dovuto alle ambizioni e a un elevato bisogno di approvazione e stima. Si tratta, però, di poche eccezioni perché, nella maggior parte dei casi, lo stress può diventare un problema sia per l’individuo, sia per l’azienda.
Le cause sono varie e attengono a più sfere. In generale possiamo dividerle in 4 fonti principali:
In generale, carico di lavoro, interruzioni, scadenze, richiesta di straordinari e responsabilità ma anche ambiguità di ruolo e screzi continui e ripetuti con i colleghi sono cause classiche di stress, ai quali, di recente, nelle indagini condotte “on field”, se ne è affermata una nuova: il multitasking, nuovo elemento di cui parleremo dettagliatamente.
Premettiamo che la prima arma di difesa contro lo stress è riconoscerne i sintomi in piena consapevolezza. Vediamo, allora, di percorrere insieme la strada che ci permette di comprendere il nostro livello di stress così da avere consapevolezza del livello di rischio a cui siamo sottoposti.
BURN-OUT: è una sindrome da stress lavorativo caratterizzata da esaurimento emotivo, irrequietezza, apatia, depersonalizzazione e senso di frustrazione. Il termine (burned out) compare per la prima volta nel linguaggio sportivo degli anni ’30, in riferimento a quell’atleta che non riesce più, dopo alcuni successi, a confermarli né a produrne di nuovi. Allo stesso modo il Burn-Out sul lavoro è caratterizzato da una perdita dell’entusiasmo del dipendente, che comincia con una fase di stagnazione – accompagnata da sentimenti di noia e preoccupazione e in cui il proprio lavoro viene percepito come non più entusiasmante – per poi passare a una vera e propria rabbia per le aspettative deluse e una percezione di inutilità e impotenza, fino al disimpegno emotivo e all’apatia.
MOBBING: dall’inglese “to mob”, “attaccare”, “accerchiare”. Il mobbing è stato studiato soprattutto nei Paesi del Nord Europa, in particolare in Svezia e Norvegia. In Italia il mobbing viene definito all’interno delle aule di tribunale e ha, quindi, un’origine giurisprudenziale. I giudici lo definiscono come un comportamento ripetuto, immotivato, rivolto contro un dipendente o un gruppo di dipendenti, tale da creare un rischio per la sicurezza e la salute, intesa sia in senso fisico, sia mentale. Una condizione di violenza psicologica, intenzionale e sistematica, perpetrata per almeno 6 mesi, con l’obiettivo di espellere il soggetto dal processo o dal mondo del lavoro.
Si distinguono 2 tipi di mobbing: emozionale, quando si scatena tra singole persone, più frequentemente tra capo e collaboratore (mobbing verticale), ma anche tra colleghi (mobbing orizzontale); strategico, che è attuato intenzionalmente dall’impresa. Tra le principali azioni mobbizzanti vi sono, ad esempio, l’atteggiamento del capo o dei collaboratori che limitano la possibilità di esprimersi della vittima; l’isolamento costante della vittima fino a comportarsi come se essa non esistesse oppure attaccandone l’immagine sociale, parlandole alle spalle o ridicolizzandola.
MULTITASKING: ovvero svolgere più mansioni differenti contemporaneamente, considerata una delle nuove cause di stress sul lavoro. Spostare l’attenzione da un’attività all’altra, come spesso avviene in un ambito lavorativo caotico, pieno di stimoli, in cui ci si ritrova a rimbalzare da un’attività all’altra, controllando allo stesso tempo cellulare e notifiche social, diventa causa di stress e, a lungo andare, aumenta il rischio di ansia, disordini nell’attenzione e problemi di iperattività e, poiché aumenta i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress nel cervello, può portare a un comportamento aggressivo e impulsivo. La letteratura scientifica in materia risulta ricca di studi e valutazioni sulle conseguenze. Tra le molte disponibili ne riportiamo alcune che ci sembrano particolarmente riferibili alle rilevazioni effettuate dalla nostra società nel comparto del Vending.
Earl Miller, docente di Neuroscienze al “Massachusetts Institute of Technology”, afferma che “il multitasking ci rende meno efficienti e comporta un vero e proprio esaurimento delle funzioni celebrali perché il nostro cervello non è ben cablato per il multitasking. Quando la gente pensa di fare multitasking in realtà sta solo passando da un compito a un altro molto rapidamente e, ogni volta che lo fa, c’è un costo cognitivo”. Costo che Glenn Wilson, già docente di psicologia presso “Gresham College” di Londra, ha mostrato essere parecchio alto perché le perdite cognitive da multitasking sono pari a quelle dei fumatori di cannabis.
Ma la lista dei detrattori del multitasking si allunga costantemente. Il neuroscienziato Daniel J. Levitin, direttore del “Laboratory for Music, Cognition and Expertise” alla McGill University, spiega che spostarci da un’attività all’altra fa sì che il cervello bruci così rapidamente il glucosio ossigenato – quello che ci serve per restare concentrati – da farci sentire esausti e disorientati in breve tempo. Gli studi di Zheng Wang, ricercatrice dell’università dell’Ohio, affermano, infine, che il multitasking uccide la produttività e aumenta i livelli di stress.
L’European Agency for Safety and Health at Work definisce lo stress da lavoro correlato come la percezione di squilibrio avvertita dal lavoratore quando le richieste del contenuto, dell’organizzazione e dell’ambiente di lavoro eccedono le capacità individuali per fronteggiare tali richieste.
A partire da gennaio 2011 è obbligatorio per tutte le aziende effettuare la valutazione dello stress lavoro correlato come previsto dal D.Lgs 81/08 (art. 28 c1 bis) ex D.Lgs 106/09. La norma richiama i responsabili delle risorse umane, i coordinatori e i dirigenti ad adottare misure che riducano lo stress del lavoratore. Si parte da una valutazione del rischio da stress lavoro correlato che coinvolge il Responsabile del servizio prevenzione e protezione (R.S.P.P.), il Medico Competente (M.C.) e il Consulente Psicologo per poi passare a misure che variano a seconda della valutazione emersa. La Commissione Consultiva Permanente per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro individua l’intero percorso metodologico: da una valutazione preliminare finalizzata a rivelare gli indicatori di rischio da stress lavoro correlato, si passa, nel caso di esito positivo, a una valutazione approfondita con test (anonimi) o riunioni collettive dai cui risultati emersi si determina la fase conclusiva di pianificazione degli interventi e delle misure da adottare.
Le misure che deve mettere in atto il datore di lavoro sono:
Vivere senza stress è impossibile o meglio, la completa libertà dallo stress è purtroppo la fine della nostra esistenza! Ridurre lo stress è, però, fondamentale, non solo per lavorare meglio ma anche per vivere meglio. Innanzitutto c’è da capire qual è la principale fonte di stress sul lavoro; se attiene maggiormente a una dimensione collettiva e organizzativa o se è più strettamente individuale e relazionale e da qui, successivamente, partire per organizzare la giusta azione correttiva.
Nel primo caso è il Datore di Lavoro a dover intervenire con riorganizzazioni del lavoro, job-rotation, definizione degli obiettivi e dei ruoli, oltre che con gli strumenti indicati dalla citata normativa. Se, invece, il problema attiene alla sfera personale è il dipendente che deve lavorare su se stesso. Oggi la parola d’ordine per fronteggiare lo stress è “coping”, termine traslato dalla psicologia che fa riferimento a una serie di strategie cognitive e comportamentali messe in atto dall’individuo. Serve in sostanza a evitare che un inizio di accumulo di tensione oltrepassi una certa soglia, trasformando lo stato di stress in psicopatologia.
Ecco le 3 principali strategie adottabili:
Bruno Scacchi
S.A.I. CONSULTING S.a.s.
Sicurezza Lavoro & Ambiente
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