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E se nel Vending arrivasse “Uber”?

Il professor Enzo Baglieri dell’Università “Bocconi” di Milano mette in guardia il nostro settore. Ripetere all’infinito gli stessi schemi di business, esacerbare la conflittualità e la mancanza di dialogo nella filiera sono errori che pongono il mercato a rischio sedimentazione, aprendolo all’ingresso di attori esterni anche molto forti

Enzo Baglieri è Associate Professor of Management Practice presso la SDA Bocconi School of Management di Milano. È direttore dei programmi Executive MBA Serale ed Executive MBA Week-End. È autore di libri e pubblicazioni nazionali e internazionali, attualmente impegnato sul tema della cosiddetta “service industrialization”.
Un accademico di primo livello, ma con un approccio alle situazioni molto diretto e divulgativo, che ha conquistato il pubblico di Confida, durante l’Assemblea Generale dello scorso 20 maggio, con un intervento per nulla “ortodosso”: “Il Vending tra uberizzazione e customer experience”. Tema di ampia trattazione attraverso cui il prof.
Baglieri ha fatto analisi e dato consigli a un settore che “non può più vivere di passato e ripetere all’infinito gli stessi schemi di business. Rischia l’implosione”.

Professor Baglieri ci spiega cosa si intende per “uberizzazione” del lavoro?
Rappresenta un modello di business basato sulla condivisione della capacità produttiva in eccesso. Ad esempio Uber usa la capacità di erogare mobilità e servizi di auto e persone che altrimenti sarebbero improduttivi. Airbnb utilizza immobili vuoti, anche per brevi periodi, che altrimenti rimarrebbero sfitti. Grazie alla piattaforma tecnologica, il potenziale cliente del servizio/prodotto e il fornitore in grado di erogare questo servizio o produrre un bene si incrociano rapidamente e soddisfano le reciproche esigenze.

Cosa cambia rispetto agli schemi tradizionali di business?
La differenza rispetto al passato è che la capacità produttiva utilizzata non è solo quella degli operatori tradizionali ma di chiunque abbia tempo e risorse per soddisfare lo
stesso fabbisogno. Se lei, ad esempio, è uno studente universitario e possiede una bici e vuole guadagnare qualcosa nel suo tempo libero può diventare un biker per Deliveroo o Foodora. Questo “fornitore” atipico – che è alle dipendenze di grandi piattaforme digitali del food delivery – lavora a costi inferiori rispetto all’operatore tradizionale (banalmente non ha alcuna copertura assicurativa e previdenziale per l’utilizzo del suo tempo libero) e può competere facilmente dal lato commerciale. Il settore di riferimento
tende, ovviamente, a soffrire per la guerra dei prezzi e di solito è difficile che ne escano vincenti in tanti.

Perché il Vending è a rischio “uberizzazione”?
Nel breve non credo la minaccia sia così forte ma di certo il Vending si deve interrogare. Ci sono alcune caratteristiche nell’attuale modello di business che fanno riflettere. Ad
esempio le macchine distributrici automatiche sono spesso non operative, attendono che il cliente si rechi da loro. Ce ne sono tante, vicine tra di loro, ma che non comunicano l’una con l’altra. Offrono un servizio molto “elementare”, facile da replicare. A ogni “battuta” il cliente spende del tempo di fronte a loro, ma esse non interagiscono e non creano relazione.

Se sostituissimo “macchinetta” con “taxi” non troveremmo delle similarità imbarazzanti? Entrambi sono “parcheggiati” per lungo tempo, in attesa di un cliente; entrambi potrebbero creare una relazione con il cliente, ma non sempre sono in grado di farlo né traggono un vantaggio economico dal farlo in questo momento storico; entrambi acquisiscono tacitamente molte informazioni dall’utenza ma non ne monetizzano il valore di mercato.

Lei parla di un Vending che deve cambiare: installazioni con prezzo premium, nuovi servizi tecnologici, aumento della fedeltà della clientela. Sono ottimi spunti ma come può un gestore applicarle senza un’effettiva disintermediazione che lo faccia interagire direttamente col consumatore e gli permetta così di veicolare la qualità del suo servizio?
Non può. Infatti è questo il punto nodale. Come dicevo prima, la cosiddetta “uberizzazione” esiste perché esiste una piattaforma di integrazione tra domanda e offerta. La filiera del Vending da qualche anno ha capito che i profitti del passato non ci saranno più ma ha risposto in modo frammentato. Il vostro settore dialoga molto ma con una logica conflittuale. Verticalmente, nei rapporti “cliente-fornitore”, ciascuno
protegge le proprie conoscenze e cerca di imporre la propria visione all’interlocutore.
Orizzontalmente, tra attori dello stesso livello della catena del valore, si assiste spesso al conflitto tra “grandi” e “piccoli”. Si parla molto di innovazione ma se ne implementa relativamente poca.
La compressione dei prezzi è la strategia più semplice, ma anche la più dannosa.
Come evolversi allora?
La differenza tra il passato e i nuovi modelli di business la fanno le piattaforme. Nel Vending una piattaforma potrebbe permettere di profilare il cliente, localizzare la macchinetta, consentire una “personalizzazione” più o meno spinta dell’erogazione della stessa, facilitare il “bundling” tra prodotti di vending machines complementari, veicolare
al cliente servizi e promozioni che passano per il d.a. come fosse un totem degli altri operatori commerciali locali, gestire il sistema di pagamento, ecc.
Non è pensabile, però, che esistano tante piattaforme quanti sono i gestori, né tante piattaforme quanti sono i fabbricanti di macchine e dei produttori dei beni di consumo.
Delle due l’una: o una di queste domina (con buona pace degli altri) o si progetta una piattaforma di filiera.
C’è in realtà la terza ipotesi, la peggiore per tutti.
Quale?
L’ingresso di un attore nuovo che crea la sua piattaforma e spazza via il resto.

In che modo è possibile instaurare una relazione di customer experience anche con l’effettivo cliente del gestore – l’azienda o l’ente pubblico – che finora è stato quasi sempre solo interessato a garantire un servizio “sociale” di ristoro, con il prezzo come principale variabile nell’assegnazione del servizio?
I clienti non sono tutti uguali ma si comportano come tali se vengono “educati” a chiedere le stesse cose. Il luogo comune è sempre lo stesso: spesso mi si dice: “Prof., questo mercato è diverso!”. In realtà i mercati sono tutti simili. È la capacità di chi si propone che fa la differenza. Diciamo che, a mia sensazione, fino a oggi, vendere puntando
tutto sul prezzo in fondo è stato per il Vending remunerativo. Probabilmente lo è ancora ma non so per quanto. Sta solo a chi opera decidere di cominciare a proporsi in modo diverso.
Ad esempio, nei progetti di ricerca recentemente realizzati nel vostro settore, ho suggerito di segmentare l’offerta del Vending usando una combinazione matriciale basata
sull’accessibilità del servizio e sulle caratteristiche degli utenti finali.

Lei ha spiazzato la platea di Confida con una slide che recitava. “La qualità non basta più”. Cosa intendeva dire?
Progettare macchine e servizi che semplicemente rispondano a quello che il cliente vuole è ormai “indifferenziante”. Un distributore deve funzionare. Deve dare sempre il resto.
Il suo utilizzo deve essere intuitivo. Deve essere pulito. Deve essere sempre carico di prodotto. Questo un cliente normale lo dà per scontato. Il cliente, invece, oggi vuole essere stupito. Anche in un break rapido vuole trovare qualcosa di inatteso. In ogni contesto ormai maturo, come è il Vending, il cliente finale si aspetta “l’esperienza” di acquisto. Nel Vending, grazie alla connettività, si possono raccogliere un’infinità di dati sugli utenti, creare profilazioni e gestire menù prodotti in modo quasi “scientifico”. Come spenderli, però, commercialmente verso il committente?
La connettività offre molte opportunità ma oggi credo si riesca a intuirne solo una porzione marginale. Diciamo, per cominciare, che le nuove tecnologie consentono di seguire
il cliente, anticiparne i fabbisogni, incrociare informazioni ed elaborare risposte. Ne consegue un modo di fare business che prevede un flusso diretto (la “battuta”) e un flusso indiretto di cassa, per generazione di nuove occasioni di consumo o per cessione di dati a terzi operatori.
Servono investimenti importanti. E siccome il cliente alla fine è sempre lo stesso, che produce dati quando è alla macchina vending come quando guida l’auto o chatta con un amico, non ci possono essere troppe piattaforme verticali, di settore o di porzioni di settore. L’aggregazione nel Vending è vincente e consente di ridurre i costi per operatore.
Nell’automotive, ad esempio, ci sono state importanti operazioni di consolidamento tra costruttori, i quali hanno messo sotto la stessa organizzazione prodotti e brand diversi.
Accadrà lo stesso nel Vending, inutile opporsi a questo fenomeno. La mia personale opinione è anzi che sarebbe dovuto avvenire prima.
Secondo lei la nascita di concentrazioni di aziende potrà generare innovazione e maggiori investimenti.
Le ribalto la questione:
non crede, semmai, che il Vending sconti la mancanza di nuovi attori e lo scarso turnover? Si è sempre i soliti a parlare delle solite cose…
Non ci sono le condizioni per nuovi ingressi finché il settore sarà dominato dal paradigma della macchina, della bevanda caffè e del prezzo battuta. Lo scenario che lei prospetta
potrebbe avere luogo solo se il nuovo entrante ribaltasse queste logiche.
Immaginiamo che faccia capolino un “Amazon Vending”, che usi la D.A. per distribuire tutto ciò che vende nel suo store online e, “incidentalmente”, erogare anche un caffè espresso, una bevanda e uno snack. Lei crede davvero che un cliente, di fronte all’opportunità di offrire ai propri dipendenti un servizio nuovo, diverso e ricco di opportunità, rimarrebbe
ancora fedele ai soliti operatori e alle solite consuetudini di acquisto?
Se non si vuole correre questo rischio, piuttosto che auspicare altri ingressi, suggerirei di investire in competenze nuove e in skill manageriali.
Una maggiore segmentazione, ma di qualità, del mercato, non sarebbe un beneficio per i fabbricanti e i produttori che potrebbero sviluppare nuove soluzioni e indirizzarli a una platea più vasta?
Assolutamente sì. Tuttavia, salvo qualche eccezione, anche questi anelli della catena del valore del Vending appaiono ancora molto indecisi. Ed è comprensibile. I fabbricanti
di macchine cercano di assecondare i loro clienti diretti e di non appari-re troppo invasivi dei territori altrui. I produttori di caffè, bevande e snacks spesso considerano il vending come un “canale”, ma mai quello principale. I gestori sono gli unici che possono davvero prendere in mano questa situazione di impasse. Quanto dovremo ancora aspettare per il “Vending 4.0”?
Il concetto di quarta rivoluzione industriale si basa sui principi della connessione e dell’integrazione tra attori della filiera. Non so quanto dovremo aspettare, so che ogni giorno di attesa potrebbe essere un vantaggio per nuovi potenziali concorrenti pronti a sparigliare il mercato della Distribuzione Automatica.

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